giovedì 1 dicembre 2016

SOTTO L'ALBERO di NATALE con VITO FERRO, autore de "LA VITA VA AVANTI", Autori riuniti, 2016

                                                    
                                                                    
     Oggi intervisto VITO FERRO autore de LA VITA VA AVANTI, Autori Riuniti, 2016

                                                   

Armando Pittella si sveglia di notte in un prato. E’ confuso, non ricorda nulla, non sa dove sia e come ci sia arrivato. Il cielo è limpido, pieno di stelle. Si alza a fatica, si accende una sigaretta e si incammina verso le luci di una costruzione in lontananza. Non sa ancora che una rivelazione sconvolgente cambierà per sempre la sua esistenza.
La vita va avanti racconta la storia di una inesorabile presa di coscienza, che obbliga il lettore a fare i conti con se stesso e con le sue più intime convinzioni.
E’ un romanzo originale e struggente, un piccolo gioiello di sperimentazioni letterarie e grafiche, una ghost story sui generis, contemporanea e universale, che parla delle verità più care: la vita, l’amore, la memoria, la speranza.
LINK per acquisto
http://www.autori-riuniti.it/shop/la-vita-va-avanti/





 Come è il tuo rapporto con il Natale? Magico. Le sensazioni che provo oggi sono le stesse di quelle che avevo da bambino. Di attesa, aspettativa, serenità, euforia. La notte di vigili, la casa che si riempie di amici e parenti, la cena, la tavola preparata, i giochi con le carte, finalmente i regali. Ancora oggi viviamo, in famiglia, lo stesso identico rituale, con le stesse identiche emozioni.

        Presepe o albero, perché?
Da bambino insieme a mio padre e mio fratello si faceva il presepe. Un presepe in grande, elaborato, ricco di abbellimenti, il fiumiciattolo, il muschio, la carta pesta… Oggi i miei fanno un albero monocromo, che cambia colore ogni anno. Io, a casa mia invece, ho un albero minimalista e un presepe con statuine rappresentanti la sacra famiglia ma… africana.


       Cosa ne pensi di Babbo Natale? Ci credi ancora? Quando hai smesso di crederci e perché? Raccontaci un aneddoto natalizio

Penso di non aver mai creduto a Babbo Natale. Forse da piccolo piccolo, ma non ricordo. Ho sempre saputo, e fatto finta di non sapere, delle manovre furtive dei miei per nasconderci i regali in posti impensabili della casa. Il piacere stava anche in quello: scoprire, settimane prima, dove avessero nascosto i regali e, senza farmi scoprire, andare a sbirciare i pacchi, saggiarne peso e volume, immaginare. Un anno, dentro lo sgabuzzino, c’era il regalo dei sogni dei miei undici anni (una moto giocattolo, se ricordo bene). Andavo più volte al giorno a toccarlo, ad abbracciarlo. Bellissimo. 
     
         Ti piace  fare  regali o ricevere regali? Che tipo di regali? Preferisci la sorpresa o suggerisci a qualcuno i tuoi desideri?
      Amo fare i regali e assolutamente a sorpresa. Amo pensare ogni volta a regali originali, e a modalità di consegna particolari. Alla mia ragazza ad esempio, un anno le ho dato un regalo a mezzanotte, uno all’una, un altro ancora alle due di notte…

         Ami ricevere libri o preferisci comprarteli? Hai mai ricevuto un libro che non sei riuscito a leggere? E perché? O uno che invece è stata una vera bella sorpresa inaspettata?
Riceverli mi imbarazza sempre: un po’ perché difficilmente gli altri azzeccano il regalo che vorrei. Discorso a parte quando si tratta di libri: tendenzialmente i miei cari conoscono bene i miei gusti in fatto di letture e raramente mi rifilano orrori letterari. Un Natale ho ricevuto due libri di Celine che desideravo molto e non mi aspettavo: è stata una gioia grande.  

        Come si intitola il romanzo che hai scritto e vorresti consigliare come regalo di Natale?
Il mio ultimo romanzo si intitola “La vita va avanti”. Racconta di Armando Pittella, bibliotecario che si sveglia di notte in un prato non ricordando come sia finito lì. Il libro è una grande storia d’amore ma anche una ghost story sui generis. Credo sia adatto alle atmosfere post natalizie: un po’ dimesse, malinconiche, struggenti. 

        Cosa ha di particolare il tuo romanzo per finire sotto l’albero di Natale? A chi è adatto?
Lo sforzo nello scriverlo è stato di renderlo una lettura adatta a tutti, o quasi. Ho cercato, con molto impegno, di inventare una storia universale in cui sia possibile una lettura a più livelli. Ho lavorato molto sul linguaggio, sulla trama e soprattutto sul ritmo. Ho creato una vicenda con un impianto thriller, in grado di sorprendere il lettore e far sì che la lettura scorra veloce, pur trattando temi e vicende a tratti anche molto coinvolgenti dal punto di vista emotivo. Il riscontro che sto avendo dai lettori è positivo, e questo mi fa pensare di non aver lavorato invano. 
          
      Ti è piaciuto scriverlo? Da dove nasce la storia? 
      Mi è piaciuto molto scriverlo, questo più di altri libri. La storia e soprattutto i personaggi mi hanno accompagnato per cinque anni, e li ho sentiti vicini in maniera a volte quasi insopportabile. Non avevo mai provato un coinvolgimento così forte con qualcosa (qualcuno) inventato da me. La storia nasce da lontano, da una visione di bambino, al cimitero a trovare mia nonna: la tomba di un ragazzo, molto giovane, fermo nel tempo, sospeso in un limbo in cui è impossibile crescere, andare avanti, conoscere le novità del mondo. La morte, a quell’età, mi parve questo: un essere esclusi dalla festa della vita.

        Ci doni un piccolo l’incipit che ci lasci la voglia di leggere?
Non è il vero e proprio incipit, ma un piccolo capitolo del libro.

Un ricordo in copertina.
A cena dai miei, una delle tante. Non è la volta in cui conoscono Chiara. Chiara l’hanno conosciuta un mattino di dicembre, sotto Capodanno. Alla stazione, partendo per Venezia.      
È una sera fredda di primavera ma, nonostante l’aria, Chiara ha un vestito corto, leggero.
Mi sembra di risentire il tepore dentro il soggiorno dei miei, la luce, la lentezza dei movimenti, intercettare il suo sorriso, voltandomi.
La cena finisce, “Portiamo giù Dik?” mi chiede Chiara che non ha mai avuto un animale. Ma con Dik va d’accordo, gli regala lunghe carezze sotto il muso, quando lei entra a casa dei miei lui, ormai, non le abbaia più come fa con tutti.       
Scendiamo nella sera tremolante. Il quartiere è arancione, i palazzoni ondeggiano nel vento, frammenti di frasi dalle finestre, rombi lontani di tangenziale, i tombini gorgogliano. Lo stradone proprio dietro casa sembra non finire mai.       
“Vuoi il mio giubbotto?”       
“No, sto bene.”      
“Sicura? Non hai freddo?”      
Il cane con uno scossone la tira avanti, facendola ridere. Vedo le sue gambe accelerare un passo che mi fa immaginarla bambina. Come doveva essere. Si volta, Dik annusa una pietra. Oltre ai lampioni, il bianco e rosso di “una cabina telefonica, la fontanella, la vecchia posta. I capelli corti, le mani sottili, il suo profilo netto nello sfondo scuro, ripenso (ricordo di aver ripensato proprio questo), quante volte, quante, ho fatto quella strada da bambino, vicino alla posta c’era un bar vecchissimo, vendeva gelati di una sottomarca improbabile, c’erano vecchi che fumavano e giocavano a carte, quante volte, a piedi, per quella strada, verso la cabina, i gettoni in tasca dentro un sacchetto, ad appendermi a un filo di voce per una ragazza, e lei, Chiara, chissà dov’era, chissà che faceva, tanti e tanti passi, un cerchio da compiere più volte, un labirinto di malinconia, incontri sfumati, storie sbagliate, speranze deluse, e ancora avanti e indietro, cabina gettone tu tu tu tu clic un’altra voce, l’ennesima distanza da colmare e non si colma mai, quante voci hanno riempito di pronto le mie sere? Dove sono finite tutte? E chi ero io che attendeva con ansia la risposta? Avrei vissuto tutto con meno partecipazione se avessi saputo che ci sarebbe stata Chiara, alla fine di quegli anni? Avanti e indietro, e il mio corpo cambia, cambiano i pensieri, si allontanano i ricordi, e infine tornare lì, ad adesso, “ a questo momento (a quel momento), la mia donna che tiene il mio cane e io li guardo, quanto l’ho cercata, nella nebbia degli anni, quanto l’ho immaginata, e adesso è qui (lì), dolcissima presenza nella notte della mia infanzia, io sono ancora quel ragazzino, mi vedo avanti e indietro, tiro un sospiro per alleggerire il petto, Dio che fortuna, non è altro che questo, averla incontrata.       
“Sono contento sai”, le dico, è qualche passo davanti a me, una mano sul fianco, l’altra a tenere il guinzaglio.
“Per cosa?”      
“Che non si telefoni più dalle cabine.”

 Una volta scartato, aperto e ammirato con soddisfazione il tuo libro, con cosa lo accompagneresti? Cioccolata calda o the? Caffè o camomilla? Biscotti o torta? Panettone o Pandoro?
Direi cioccolata calda, un po’ amara, e panna.



Conosciamo l'autore



Vito Ferro è nato nel 1977 a Torino. Ha pubblicato “L’ho lasciata perché l’amavo troppo” (Coniglio editore, 2007), “Condominio reale” (Edizioni di Latta, 2007), “Mentre la luce sale” (LietoColle, 2008), “Festival Maracanã” (Las Vegas edizioni, 2012), “La vita va avanti” (Autori Riuniti, 2016). È socio fondatore della casa editrice Autori Riuniti. Scrive su http://scrittoreadore.wordpress.com



Nessun commento:

Posta un commento

Ti è piaciuto il post? Lascia un commento :)