Ormai è quasi estate e siamo ospiti nel
giardino di Maura Maffei, autrice
insieme con il coautore irlandese Rónán
Ú. Ó Lorcáin de “La fragilità della
farfalla”, Parallelo45 Edizioni (Piacenza, gennaio 2016).
“Quarta di copertina”
Irlanda, 1746.
Sullo sfondo maestoso del Connemara, due famiglie
d’antica nobiltà, che in novant’anni di storia hanno intessuto tra loro
relazioni d’amicizia, d’odio e d’amore, si trovano coinvolte in un avvenimento
inaspettato: il ritorno in patria di un gruppo di uomini che per anni hanno
vissuto in Austria.
Chi sono? Carpentieri? Lavorano infatti in una sospetta
falegnameria che sorge solitaria in mezzo alla campagna. Ma un’altra è la loro
identità. Nell’epoca drammatica delle Leggi Penali, quando i cattolici erano privati
d’ogni diritto, erano costretti al contrabbando per sfamare i loro figli, la
messa era vietata e i sacerdoti erano considerati fuorilegge, ebbene, proprio
in quest’epoca oscura un vescovo e cinque preti, protetti da alcuni dragoni che
hanno scelto come capo Bran, un colonnello dell’imperatrice Maria Teresa
d’Absburgo, sfidano gli inglesi e, sotto mentite spoglie, si mantengono fedeli
alla loro vocazione e si dedicano a una missione di pace. Se venissero scoperti
o traditi, sarebbero tutti condannati alla forca.
Il vescovo Caoimhín è lo zio della bella Labhaoise,
di cui s’innamorano sia un giovane cattolico dal carattere impetuoso, che come
gli altri veste i panni dimessi del falegname, sia l’astuto pastore anglicano
del villaggio. La scelta di lei li rende rivali. Eppure si tratta per entrambi di
un sentimento tanto profondo quanto impossibile, perché un atroce delitto
commesso in passato dal padre della ragazza è rimasto impunito e adesso, mentre
tutto si complica, pretende vendetta.
Link per acquistarlo: http://www.parallelo45edizioni.it/prodotto/la-fragilita-della-farfalla/
Ami vivere in città o in campagna?
Adoro la campagna, dove ho trascorso la mia infanzia e la mia
giovinezza, ma ho scelto di vivere da tempo in una cittadina piemontese di
medie dimensioni, per ragioni di comodità: mi piace avere tutto a portata di
passeggiata, senza dover prendere l’auto ogni giorno. Così anche mio marito si
reca in ufficio a piedi e mia figlia, oggi universitaria, quando frequentava il
Liceo era a due passi dalla scuola. Ho tuttavia la fortuna di abitare in un
palazzo in centro, con un vasto giardino condominiale che si veste di fiori e
di colori e che mi immerge nella natura tutte le volte che mi affaccio alla
finestra o che scendo tra le aiuole per rilassarmi.
Non ho un terrazzo: abito in un
palazzo d’epoca in quello che un tempo era il sottotetto. Non lo rimpiango
perché la città in cui vivo in estate è purtroppo infestata dalle zanzare, quindi
sarebbe poco utilizzabile. Quando sono al mare, in un appartamentino in
Liguria, mia terra nativa, allora sì che trascorro tutta la giornata in
terrazzo! Da lì contemplo le onde che si infrangono sulla scogliera, nei giorni
di burrasca, o il sole che crivella i marosi di scintille auree o il tramonto
che tinge d’ametista i ruderi del vecchio mulino che sul promontorio, a sera,
ritagliano il cielo.
In realtà non ho preferenze: amo
stare tanto in giardino quanto sul balcone, perché l’importante è respirare il
profumo dell’aria e della luce che riveste la natura.
Trovi impegnativo curare il verde? Cosa coltivi? Solo fiori
o provi anche a fare l’orto?
Non avendo il balcone ed essendo il mio giardino condominiale, mi
diletto solo con alcune piante che tengo sui davanzali delle finestre: ho un
bonsai, un paio di vasetti di piante grasse, le violette del Brasile e due magnifiche
orchidee che mi allietano ogni volta che spunta un ramo fiorito.
Riesci a scrivere e leggere all’aperto? Cosa altro ti piace fare (ad esempio
barbecue, ginnastica, dormire ecc)?
Mi piace molto scrivere sul
terrazzo, quando sono al mare. Ma spesso mi porto anche un quadernino in
giardino e vi annoto i pensieri che mi vengono in mente. A dire il vero, riesco
a scrivere ovunque: basta che il cuore si lasci sedurre dalla giusta
ispirazione.
Adoro passeggiare in campagna: visto che sono
erborista, mi piace riconoscere le piante che incontro nelle rive o esplorando
i boschi. Ricordo con nostalgia gli anni della mia infanzia quando mia mamma
Elda, anche lei erborista (pubblicò negli anni Ottanta due libri sulle erbe con
Musumeci Editore) mi portava a erborizzare e mi insegnava a usare le chiavi
botaniche per individuare a che famiglia appartenevano le varie piante. Mi
raccontava tante curiosità e mi spiegava il valore terapeutico di ogni specie.
Sul suo esempio, ho cercato di fare lo stesso con mia figlia Maria Eloisa, per
trasmetterle l’amore verso il giardino di Dio che ci circonda.
Hai un animale domestico? Quale e come si chiama? Come si
comporta mentre scrivi?
Ho una splendida gattona
certosina di otto anni che si chiama Ombretta. La signora che me la diede aveva
scelto per lei questo nome pensando proprio a “Piccolo Mondo Antico” di Fogazzaro.
Ombretta trascorre con me
l’intera giornata e, se non sto attenta o mi assento per un attimo dalla
stanza, si va a coricare sulla tastiera del computer ed è già capitato che mi
abbia divelto qualche tasto… Soprattutto in inverno, quando è un po’ infreddolita,
si sdraia dietro il mio portatile per riscaldarsi e fa le fusa chiosando il
tamburellare delle mie dita sulle lettere. Mi rilassa accarezzarla mentre mi
concentro sull’impostazione di un dialogo o sulla descrizione di un paesaggio
della mia amatissima Irlanda.
Ci descrivi il tipo di giardino/ terrazza preferisci, angolo
relax che preferisci? (Romantico all’inglese, Zen, moderno con contenitori e
lampade a tema, naturale rustico,
simmetrico all’italiana, una poltrona e una pianta…)
Porto nel cuore il giardino di un castello privato – uno dei più
piccoli e sperduti – nella valle della Loira, visitato alcuni anni orsono.
Questo castello si chiama “La Chatonnière” ed è preceduto da un parco che a
fine estate diventa violetto di crochi. Il giardino vero e proprio, che
circonda l’edificio, è diviso in settori tematici: c’è un orto ornamentale a
forma di foglia, con le tinte vivaci delle varie verdure, e c’è un labirinto
tra statue e siepi. C’è un sentiero ombreggiato da una volta di rose rampicanti
di innumerevoli qualità diverse e c’è “la galleria degli amanti” che si estende
su quattro lati di un’area ben definita e che è composta da piante di salice i
cui rami sono intrecciate a fitte losanghe, lasciando qui e là spazio a
un’improvvisata finestra sulle aiuole fiorite. Questa “galleria degli amanti”
mi ha ispirato l’ambientazione per una scena del capitolo VIII de “La fragilità
della farfalla”: “Proseguirono e raggiunsero la galleria dei salici. Qui
c’erano fitte piante affiancate in modo compatto le une alle altre, con i rami
intrecciati sapientemente a formare losanghe, che creavano un ambiente magico,
con le pareti vive, in cui scorreva la linfa e che, a primavera, si vestiva di
piccole foglie dall’inconfondibile colore misto di verde e di grigio.”
Ti piace mangiare all’aperto? Ti piace fare colazione, merenda
o un pasto principale?
In estate, in Liguria, se non piove, mangiamo sempre sul terrazzo, sia
a pranzo, godendo del riflesso fulvo del sole sul mare e del frinire pigro
delle cicale, sia a cena, aspettando che i colori accesi del tramonto si
smorzino nell’imbrunire.
Inviti amici a passare qualche ora nella tua oasi verde? Hai
una ricetta di biscotti o una torta dolce o salata da poter consigliare per
fare colazione o merenda tra il verde?
Trascorriamo sovente splendide giornate in giardino in una casetta tra
le colline del Monferrato, che apparteneva ai miei suoceri. È questo per la mia
famiglia il luogo privilegiato in cui invitare gli amici: mia figlia vi porta i
compagni di liceo e di università per una merenda o per un torneo di giochi da
tavolo e mio marito e io passiamo ore a discorrere con le persone che ci sono
più care, magari riattizzando tutti insieme la brace ardente di un bel
barbecue. In queste occasioni mi capita di preparare un dolce di cui avevo
trovato la ricetta quando, tra le altre cose, mi occupavo della rubrica di
cucina del mensile “Keltika”. La condivido con gioia: eccola qui!
Black Cake
Ingredienti
(per 4-6 persone)
-
300 grammi di marmellata di bacche di
sambuco (potete prepararla in casa oppure la troverete già pronta
nei negozi d’alimenti naturali e biologici);
-
200 grammi di farina;
-
140 grammi di zucchero di canna;
-
120 grammi di burro;
-
4 uova;
-
3 generosi cucchiai di rhum;
-
1 bustina di lievito vanigliato;
-
2 pizzichi di sale.
Preparazione
Fate ammorbidire il
burro a temperatura ambiente, ricordando di conservarne una piccola parte per
imburrare la tortiera. In una terrina, mantecatelo con la marmellata sino ad
ottenere una crema omogenea. Ad essa unirete delicatamente il rhum. In un altro
piatto, setacciate insieme la farina, il lievito e una presa di sale.
Aggiungete poi alla manteca, mescolando per raggiungere un composto soffice e
spumoso.
Separate le uova: i rossi in un
recipiente, le chiare in un altro. Sbattete i tuorli, incorporatevi lo zucchero
e versateli nell’impasto. Anche questa volta bisognerà lavorarlo affinché
risulti liscio.
Spolverate gli albumi con un pizzico di
sale e montateli a neve ben ferma. Per controllarne la densità, ricorrete al sistema
delle nonne: la neve sarà pronta quando manterrà verticale la forchetta che vi
avrete infilato.
Amalgamate
la neve all’impasto, con movimento dolce e regolare affinché non smonti, e
imburrate una tortiera del diametro di 28-30 centimetri. Mettete a cuocere in
forno già caldo, alla temperatura di 180° C. Sfornate dopo una buona mezz’ora,
rovesciate il Black Cake sopra un piatto di portata e lasciatelo raffreddare
prima di servirlo.
Curiosità
Quella che vi ho
appena proposto è la ricetta di un dolce storico della cucina irlandese,
naturalmente rivisitata secondo il gusto moderno. Il Black Cake ebbe fortuna
soprattutto tra Settecento e Ottocento, quando cominciò a diffondersi in
pasticceria la moda di preparare torte al cacao. Quindi è all’incirca contemporaneo
rispetto alla storia che narriamo ne “La fragilità della farfalla”. Gli
irlandesi, da sempre vessati e che morivano di fame quando il raccolto delle
patate andava male, non avevano di che comprare la costosa spezia esotica.
Allora, ingegnosi come al solito, decisero di sostituirla con le bacche di
sambuco. È incredibile a dirsi ma il colore del Black Cake imitava
perfettamente quello d’una torta al cioccolato. E il sapore? Non era poi così
dissimile… Provatelo, ne resterete stupiti!
Nei tuoi romanzi i paesaggi sono accuratamente descritti? Usi mai un elemento naturale per esprimere uno
stato d’animo o il pathos di una
azione attraverso l’ambiente?
Siccome quasi tutti i miei
romanzi sono ambientati in Irlanda, per me è davvero un incanto descrivere gli
affascinanti paesaggi dell’Isola di Smeraldo: la brughiera, i laghi e le
scogliere selvagge costituiscono già da soli un elemento suggestivo di poesia,
a cui le parole hanno poco da aggiungere. Naturalmente se nel cuore di un dato
personaggio c’è il pianto, la pioggia vesserà la campagna circostante e
brulicherà tra le festuche del tetto di paglia, mentre una notizia inattesa e
infausta giungerà quando s’incupiscono le ombre dell’imbrunire. Il mistero di
un uomo che suona la cornamusa sveglierà nella notte gli abitanti addormentati
del manhor, proprio come il sole radioso del mattino, mentre cantano gli
uccellini tra i rami ingemmati di primavera, annunzierà le speranze del nuovo
giorno.
Per me è essenziale gli stati
d’animo de miei protagonisti con l’elemento naturale adatto a esprimerli: è un
espediente prezioso che crea la giusta atmosfera per meglio sussurrare
all’orecchio del lettore sentimenti ed emozioni.
Nel tuo ultimo romanzo, “ La fragilità della farfalla”, c’è
un passo particolarmente affascinante
che riguarda un elemento naturale (un
bosco, un fiume, un prato, un giardino, un fiore , una nuvola…)? Perché hai
deciso di usarlo?
Oltre alla galleria dei salici,
già citata in precedenza, nel prologo c’è la descrizione del tramonto sul lago Corrib,
mentre si abbeverano le pecore e il giorno muore in liquido platino: “L’ultimo
sole di una giornata splendida, rara in Irlanda. Sin dal mattino l’aria si era
velata di quiete che, raggiante di riflessi, aveva rivestito la campagna. Il
profilo delle colline e dei monti, in lontananza, il mite vello delle greggi
che ruminavano, i sassi lungo la strada… Ogni sfumatura aveva brillato come se
fosse stata nuova, nel verde d’agosto.”
Ho utilizzato questa scena dal
vago sapore bucolico come espansione tragica che precede uno degli eventi più
tragici che succedono nel corso del romanzo: un figlio che deruba il padre e i
fratelli d’ogni avere, anteponendo il desiderio smodato di ricchezza al tepore
protettivo degli affetti familiari.
Ti ricorda qualche tua esperienza diretta o è completamente
inventato?
Anche questa pagina si ispira a una mia esperienza diretta. Rammento
che, nel mio ultimo viaggio in Connemara, la regione d’Irlanda che con la
varietà del suo paesaggio prediligo assolutamente, giunsi sulle sponde del lago
Corrib, non lontano da Maam, che era ormai sera. Fermammo l’auto sulla sponda
del lago e io respirai lentamente le medesime emozioni che poi avrei trasfuso
nel cuore del personaggio che contempla la scena sopra abbozzata. La fantasia
ha infatti un potente alleato nel ricordo d’impressioni visive che tatuano
l’anima di chi scrive.
In copertina spesso vengono usati fiori, o sfondi naturali;
cosa ne pensi? Se avessi dovuto suggerire tu al grafico la copertina del tuo
ultimo romanzo, cosa avresti usato?
In effetti sono proprio io che
ho suggerito a Fabrizio Filios di Parallelo45 Edizioni, in qualità di curatore
dell’opera, l’immagine di copertina. Si tratta di una quadro di Gustav Klimt,
non tra i più noti, che s’intitola “Love”: quando l’ho visto, ho subito pensato
che illustrasse in maniera curiosamente speculare l’episodio della galleria dei
salici al quale ho già accennato prima. C’è infatti lo sfondo notturno, che
potrebbe essere quello di un giardino o di un bosco, e c’è l’abbraccio dei due
protagonisti che parrebbe sfociare in un bacio. Presenze oscure si animano
nella parte alta del dipinto, a rappresentare le passioni dell’animo umano e i
volti di chi ostacola la già difficile storia d’amore tra Bran e Labhaoise.
Klimt ha incorniciato quest’immagine tra due bande dorate laterali, sulle quali
ha dipinto rami di rose carnacine: ecco che ci sono i fiori in copertina, quasi
a anticipare al lettore che il romanzo narra la lotta di tanti irlandesi contro
il dominatore inglese, ma anche l’amore tra due giovani, tanto tenace, quanto oppresso
dalle circostanze e dalle leggi fosche di quel terribile periodo storico.
Molto brava è stata Laura Calza,
responsabile del progetto grafico del libro, a trasformare il quadro di Klimt
in una copertina suggestiva ed evocativa della vicenda che viene narrata.
E ora piantiamo un seme, un seme anche simbolico se desideri,
che ci sveli di che tratta il tuo ultimo
romanzo: che seme vorresti piantare?
Sceglierò un seme biblico: quel granello di senapa che è il più piccolo
tra tutti i semi ma che, quando germina e cresce, diventa la pianta più altra
fra tutte, che offre agli uccelli riparo tra le sue fronde ombrose. Non è una
scelta casuale, per due motivi: il primo riguarda il fatto che scrivo romanzi
di ispirazione cristiana, perché mi piace raccontare le meraviglie che il
Signore compie nel cuore dell’uomo, di ogni uomo, quando ha il coraggio di abbandonarsi
al Suo amore infinito; il secondo è legato in maniera più specifica a questo
romanzo, che racconta una storia di diseredati, di nobili decaduti a cui lo
straniero ha strappato ogni diritto e persino la dignità; eppure tutti insieme
riescono a beffare lo straniero con un progetto che sembra piccolo, poco
importante e che invece permetterà alla loro comunità di crescere dal punto di
vista umano e spirituale.
Ci lasci un piccolo incipit del tuo romanzo? anche
quello è un piccolo seme…
Molto volentieri! Tra l’altro,
il primo capitolo del romanzo comincia proprio con una passeggiata di
Labhaoise, la protagonista femminile, che si aggira all’alba in giardino.
“Sottile nel soffio che faceva
vibrare il verde tenue dell’erba, come passo di danza la brezza ammantava
l’alba.
La radiosità del sole nascente,
lama radente sul tetto di pietra, inondava le vetrate del manhor e sbiadiva i contorni perfetti delle siepi del giardino.
L’aria profumava di muschio e
l’umidità esalava in perle lattee di bruma.
Poco più a valle, il prato
correva all’orizzonte. Sulla destra s’inchinava al folto del bosco, dove le
ombre dominavano una notte eterna. A sinistra, declinava verso il lago che, in
quell’ora solitaria, levava al cielo scintille di preghiera.
La rugiada, a dense lacrime,
bagnava l’orlo di una sottana color verde spento. Una fanciulla snella e
slanciata, dall’incedere lieve di fata, s’aggirava tra i fiori selvatici. Si
chinava a cogliere le pratoline, i cui capolini erano appena sbocciati, e le
riponeva nel panierino di rametti intrecciati di salice, insieme con gli
anemoni bianchi, con il giallo incanto di primule e ranuncoli, con l’eleganza
dei narcisi, con la semplicità rustica dell’edera terreste e con l’azzurro
violaceo di pervinche e veroniche. Voleva farne una ghirlanda, per donarla in
quel giorno di festa a chi le stava a cuore.
La carezza del sole incendiava i
suoi capelli che, quale cascata, si rovesciavano sciolti sul farsetto di
broccato avellana. Non erano biondi e non erano rossi ma avevano la tinta fulva
e sfumata del miele che stilla dal favo. Come un’aureola, le si arricciavano
intorno al volto di rosa dagli zigomi alti e dall’ovale cesellato, in cui erano
incastonati due magnifici smeraldi iridescenti. I suoi occhi ora avevano il
verde trionfale della primavera, ora quello appassito dell’autunno, a seconda
dell’espressione che li animava o della luce che riflettevano.
Il panierino era già traboccante
di fiori e la ragazza pensò di rientrare. Era sveglia da un paio d’ore,
trascorse passeggiando all’aria aperta. Non aveva ancora fatto colazione e
l’aria suadente di marzo le aveva messo appetito. Avrebbe bevuto una tazza di
latte appena munto e assaggiato la crostata che, quando era uscita, cuoceva in
forno con fragranza di burro.
Risalì lentamente il sentiero,
respirando la pace di quella solitudine che soltanto il cinguettio degli
uccelli colmava di suono.”
Grazie
Biografie dei due
autori de “La fragilità della farfalla”
Maura Maffei,
ligure di nascita e piemontese d’adozione, è erborista, soprano lirico,
insegnante di Metodo dell’Ovulazione Billings per la regolazione naturale della
fertilità di coppia e presidente diocesano di Azione Cattolica Italiana.
Profonda conoscitrice della storia e della cultura irlandese, ha firmato tra il
2001 e il 2007 oltre 200 articoli monografici per il mensile Keltika. È autrice
di numerosi libri: “Il traditore” (Marna, 1993), “Le lenticchie di Esaù”
(Marna, 2003), “La lunga strada per Genova” (Marna, 2007), “Feuilleton”
(Edizioni della Goccia, 2015). Nel 1999 ha pubblicato per i tipi della
prestigiosa casa editrice Coiscéim di Dublino un romanzo in gaelico d’Irlanda,
intitolato “An Fealltóir”.
Ha inoltre pubblicato anche due ebook: il romanzo
“Astralabius” (vincitore del torneo letterario “IoScrittore” 2012) e la
tragedia “An Nuachar – Lo sposo” (Marcelli, 2014).
Tra i numerosi premi letterari vinti, si ricorda il
primo premio assoluto al 56° Concorso Letterario Internazionale “San
Domenichino - Città di Massa” 2015 con
il romanzo di prossima pubblicazione “La sinfonia del vento”.
Rónán Ú. Ó
Lorcáin è nato in Irlanda, dove attualmente vive, anche se ha abitato e
lavorato per molti anni qui in Italia, con cui mantiene forti legami affettivi
e professionali.
Tecnologo, progettista di talento, assai apprezzato
nel suo settore per l’originalità dei tanti progetti da lui firmati, è anche
musicista e traduttore. È soprattutto un appassionato linguista che crede
nell’importanza dell’irlandese per il bene e il progresso della sua nazione.
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