Interviste culinarie di
Federica Gnomo Twins
Oggi salutiamo e ringraziamo l‘autore Giuseppe Galato, “Breve guida al
suicidio”, Edizioni La Gru, Marzo 2013 per averci aperto la porta della sua
cucina.
Woody Allen che incontra i Monty Python a un party organizzato da Douglas Adams.
Scritto sotto forma di saggio, “Breve
Guida Al Suicidio” è una delirante analisi che, prendendo spunto dal tema
del suicidio, unisce alla comicità
psicanalitica e filosofica di Woody Allen il sarcasmo nonsense dei Monty Python, il tutto catapultato in un
universo per certi versi accostabile a quello di “Guida Galattica Per Gli Autostoppisti”.
Nel “saggio” il tema del suicidio diventa pretesto per seguire le storie di
vari personaggi all’interno di un mondo non troppo dissimile dal nostro dove il
cinismo e la satira sociale la fanno da padrone: politica, storia, religioni,
società capitalistica, vengono stravolte e analizzate all’interno di “Breve
Guida Al Suicidio”.
Stravolte nella messa in scena ma non nel senso: “Breve Guida Al Suicidio”,
sebbene tratti il tema con i toni del nonsense,
della fantascienza, dell’assurdo, è al contempo un’attenta analisi dalla società contemporanea.
Il mondo di “Breve Guida Al Suicidio”, sebbene diverso dal nostro nella
forma, lo possiamo accostare al nostro nei concetti e nei rapporti sociali che
ne vengono fuori.
In “Breve Guida Al Suicidio” è inoltre sempre presente il gioco dei
rimandi, dai nomi dei personaggi (molte volte nomi di personaggi reali
stravolti) ai luoghi, dalle rivisitazioni
assurde di tesi filosofiche e scientifiche alla rilettura della storia come la conosciamo.
E, naturalmente, la rilettura in chiave comica del suicidio come vera e
propria terapia per tutti coloro che, almeno una volta nella propria vita, hanno
rivolto lo sguardo verso la possibilità di compiere “l’estremo gesto”.
Un libro che tenta di essere intellettuale senza cadere in
“intellettualismi”.
D: La prima domanda di rito è: le
piace mangiare bene? E cucinare?
R: Beh, la risposta dovrebbe essere scontata, eppure, guardandomi intorno,
vedo un sacco di gente che si accontenta di mangiare e bere qualsiasi cosa. A
me spesso dicono che sono “viziato”, che non mi accontento di una birra, vino o
distillato qualsiasi (anche se poi, naturalmente, capita di bere anche prodotti
non eccelsi). La cultura del mangiare e bere bene è spesso sottovalutata e,
come ogni arte, va coltivata: più si conosce e più si può apprezzare. Cucinare
mi piace molto, anche se mi capita molto sporadicamente di farlo.
D: Lo fa per dovere o per piacere?
R: Lo faccio per piacere, sempre con amici, organizziamo cenette dove a
turno sperimentiamo le nostre specialità sulla pelle (e sugli stomaci) degli
altri.
D: Invita amici o è più spesso invitato?
R: Diciamo che facciamo tutti insieme inviti massivi scegliendo di volta in
volta insieme il luogo del delitto.
D: Ha mai conquistato amici o una
donna cucinando?
R: Le donne le prendo sempre per la gola; in senso letterale. (questa
battuta la volevo fare da tempo, grazie per l’opportunità concessami).
D: Vivrebbe con una compagna o un
compagno che non sa mettere mani ai fornelli?
R: Si, perché no? È bello che qualcuno cucini per te, ma se la mia
potenziale compagna (o compagno, nel caso cambiassi idea sui miei gusti
sessuali) provvede a portare lo stipendio a casa io il casalingo lo faccio più
che volentieri.
D: Quando ha scoperto questa sua
passione?
R: Ai tempi dell’università. Prima era impossibile avvicinarsi ai fornelli
di casa senza che si attivasse l’allarme/urlo di mia madre.
D: Ci racconta il suo primo ricordo
legato al cibo?
R: Dovrei parlare del seno di mia madre, immagino; ma penso che di questo
ne parlerò con la mia psicanalista. Ti parlerò di quando da bambino mangiavo
molto poco, quasi niente. La prima volta che ho avuto davvero voglia di
mangiare fu in ospedale. Ero stato operato urgentemente di appendicite e quindi
dovetti stare a digiuno per giorni, mangiavo solo tè e mezza fetta biscottata
al giorno, a quel che ricordo: invocavo la pasta e fagioli di nonna, mai
mangiata prima di allora!
D: Ha un piatto che ama e uno che
detesta?
R: Ne amo troppi e ne detesto pochi (forse non detesto niente, a parte il
junk food, che pure capita di mangiare). Mi piace un sacco la cucina cinese, la
zuppa di cipolle, le zuppe di cereali in generale, la carbonara, il lardo, lo
strutto spalmato sul pane caldo... potrei continuare all’infinito...
D: Un colore dominante proprio di
cibi che la disgustano?
R: Non saprei. Una volta avevo il disgusto dei carciofi, che da bambino
adoravo, ma da qualche tempo ho ripreso a mangiarli. Evidentemente fui vittima
di qualche trauma legato alla figura del carciofo, trauma che ora, man mano,
sto superando: vado in analisi proprio per questo.
D: Quando è in fase creativa ha un
rito scaramantico legato al cibo? Prende caffè? O tè, una bibita speciale per
stare fermo a scrivere?
R: Alcolici, di qualsiasi tipo, meglio se un buon vino rosso corposo o un
distillato invecchiato.
D: Scrive mai in cucina?
R: No, mai.
D: Altrimenti dove ama scrivere? E a
che ora le viene più naturale?
R: Sono molto produttivo la mattina presto, dalle 7:00 in poi. Di solito
scrivo sul letto. I pensieri di solito invece mi vengono nel luogo antitetico
alla cucina: il bagno.
D: Si compra cibo pronto
(tramezzini, pizza, snack) o si cucina anche quando è molto preso dalla
scrittura?
R: Difficilmente mangio schifezze. Di solito ci pensa mia madre al
rifocillamento, quindi sto a posto così.
D: Che tipo di cibo desidera di più
quando scrive ed è preso dal suo lavoro? Salato o dolce?
R: Io preferisco in generale il salato, se amaro ancor meglio. Anche per i
dolci preferisco le cose amare, tipo la cioccolata fondente. Quando scrivo,
come già detto, più che altro bevo.
D: Ha un aneddoto legato al cibo da
raccontarci? O una cosa carina e particolare che le è accaduta?
R: Ricordo che la prima volte che ho fatto la salsiccia al vino, uno dei
miei primi esperimenti culinari, ‘sto vino continuava a evaporare e io
continuavo ad aggiungerne. Alla fine ce ne misi una bottiglia intera: da
salsiccia al vino divenne salsiccia ubriaca!
D: Lei è uno scrittore, quando esce
a cena con i suoi amici che tipo di
locale preferisce?
R: Dipende dal mood. Basta che non siano locali con la musica a palla (a
meno che non ci sia un concerto) e dove si possa interloquire. E dove si
servano prodotti quanto meno dignitosi.
D: E quando esce con la sua
compagna?
R: Come sopra.
D: Oppure per festeggiare una
pubblicazione?
R: Mai festeggiato. Ma i miei amici (le idee “assurde” di Chiara Cammarano
e Diego Errico) ci hanno pensato per me, all’uscita di “Breve guida al
suicidio”, portandomi una colomba pasquale... impiccata. È anche un aneddoto
fondamentalmente culinario, quindi cade a fagiolo (ancora cibo) per questa
intervista.
D: Cosa tende a ordinare in un
locale?
R: Ancora una volta dipende dal mood. Di solito quando esco, a meno che non
si esca con il proposito di fare una cena, non mangio. E allora potrei ordinare
vino, birra, se ce n’è di buona (adoro le weisse), o qualche distillato
(ultimamente gin), se ho freddo un tè allungato con il gin o con il rum, fra i
cocktail o il martini (giusto con una spolverata di vermouth, eh) o il negroni.
D: Nelle sue presentazioni offre un
buffet? Pensa sia gradevole per gli ascoltatori intervenuti?
R: Mai fatta una presentazione in vita mia ma, se dovessi mai farne,
potrebbe essere interessante fare una degustazione di rum accompagnata da
cioccolata fondente e sigari.
D: Tende a fare un aperitivo con due
olive e patatine o a offrire quasi un pasto completo?
R: Pasto completo: per dirla un po’ volgarmente nel dialetto del mio paese
(Licusati, in provincia di Salerno), olive e patatine nun t’arrivanu mangu
n’ganna.
D: Ha mai usato il cibo in qualche
storia?
R: Il cibo fa parte della vita e nelle storie si racconta la vita: quindi,
si, rientra anche il cibo fra gli aspetti delle mie storie.
D: Ad esempio in “Breve guida al suicidio” ci sono passi
che ricordano cibi o profumi di cibo?
R: Sì. E sono profumi di merda.
D: Il cibo è mai protagonista?
R: Si, c’è un episodio ambientato in un fast food. E questo spiega la
risposta alla domanda precedente.
D: “Breve guida al suicidio” a che ricetta lo legherebbe, e perché?
R: Alla cucina spazzatura, perché “Breve guida al suicidio” parla
principalmente dello schifo che fa l’essere umano e di quanto faccia schifo il
sistema economico che abbiamo creato e che influenza tutto il vissuto di noi
povere vittime del nulla (perché i soldi sono il nulla).
D: Per concludere ci potrebbe
regalare una sua ricetta? Quella che le riesce meglio?
RICETTA
Pennette con salmone, noci e
pistacchio al cognac
In una padella soffriggere le cipolle
Una volta dorate aggiungere noci (spezzettate) e pistacchi
Aggiungere il salmone affumicato tagliato a pezzetti
Bagnare con cognac e aspettare evapori
Saltare le pennette con quanto in precedenza preparato insieme a qualche
tuorlo d’uovo sbattuto (io non lo faccio cuocere troppo, giusto qualche
secondo, preferisco rimanga leggermente liquido)
D: Quale complimento le piace di più
come cuoco?
R: Visto che è doveroso essere aperti a tutte le culture direi che un bel
rutto, come da tradizione islamica, può andare più che bene.
D: E come scrittore?
R: Se qualcuno dovesse dirmi che è riuscito a riflettere su alcuni aspetti
beceri della nostra società grazie al mio libro ne sarei più che contento.
D: Che frase tratta dalla sua opera o dalla sua esperienza di
scrittore possiamo portarci nel cuore uscendo dalla sua cucina?
R: Ti lascio con il brevissimo episodio sul fast food, tratto dalla sezione
“Metodi di suicidio”:
AVVELENAMENTO
Un
giorno Giorgio Boccabuona si recò da …
(ho
dovuto togliere il nome), pensate a un fast food.
Federica Gnomo
Intervista molto simpatica.
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