lunedì 8 aprile 2013

IN CUCINA CON LO SCRITTORE Giuseppe Galato, Breve guida al suicidio



Interviste culinarie di Federica Gnomo Twins


Oggi salutiamo e ringraziamo l‘autore Giuseppe Galato, “Breve guida al suicidio”, Edizioni La Gru, Marzo 2013 per averci aperto la porta della sua cucina.
       
Woody Allen che incontra i Monty Python a un party organizzato da Douglas Adams.
Scritto sotto forma di saggio, “Breve Guida Al Suicidio” è una delirante analisi che, prendendo spunto dal tema del suicidio, unisce alla comicità psicanalitica e filosofica di Woody Allen il sarcasmo nonsense dei Monty Python, il tutto catapultato in un universo per certi versi accostabile a quello di “Guida Galattica Per Gli Autostoppisti”.
Nel “saggio” il tema del suicidio diventa pretesto per seguire le storie di vari personaggi all’interno di un mondo non troppo dissimile dal nostro dove il cinismo e la satira sociale la fanno da padrone: politica, storia, religioni, società capitalistica, vengono stravolte e analizzate all’interno di “Breve Guida Al Suicidio”.
Stravolte nella messa in scena ma non nel senso: “Breve Guida Al Suicidio”, sebbene tratti il tema con i toni del nonsense, della fantascienza, dell’assurdo, è al contempo un’attenta analisi dalla società contemporanea.
Il mondo di “Breve Guida Al Suicidio”, sebbene diverso dal nostro nella forma, lo possiamo accostare al nostro nei concetti e nei rapporti sociali che ne vengono fuori.
In “Breve Guida Al Suicidio” è inoltre sempre presente il gioco dei rimandi, dai nomi dei personaggi (molte volte nomi di personaggi reali stravolti) ai luoghi, dalle rivisitazioni assurde di tesi filosofiche e scientifiche alla rilettura della storia come la conosciamo.
E, naturalmente, la rilettura in chiave comica del suicidio come vera e propria terapia per tutti coloro che, almeno una volta nella propria vita, hanno rivolto lo sguardo verso la possibilità di compiere “l’estremo gesto”.
Un libro che tenta di essere intellettuale senza cadere in “intellettualismi”.



D: La prima domanda di rito è: le piace mangiare bene? E cucinare?
R: Beh, la risposta dovrebbe essere scontata, eppure, guardandomi intorno, vedo un sacco di gente che si accontenta di mangiare e bere qualsiasi cosa. A me spesso dicono che sono “viziato”, che non mi accontento di una birra, vino o distillato qualsiasi (anche se poi, naturalmente, capita di bere anche prodotti non eccelsi). La cultura del mangiare e bere bene è spesso sottovalutata e, come ogni arte, va coltivata: più si conosce e più si può apprezzare. Cucinare mi piace molto, anche se mi capita molto sporadicamente di farlo.

D: Lo fa per dovere o per piacere?
R: Lo faccio per piacere, sempre con amici, organizziamo cenette dove a turno sperimentiamo le nostre specialità sulla pelle (e sugli stomaci) degli altri.

D: Invita amici o è più spesso invitato?
R: Diciamo che facciamo tutti insieme inviti massivi scegliendo di volta in volta insieme il luogo del delitto.

D: Ha mai conquistato amici o una donna cucinando?
R: Le donne le prendo sempre per la gola; in senso letterale. (questa battuta la volevo fare da tempo, grazie per l’opportunità concessami).

D: Vivrebbe con una compagna o un compagno che non sa mettere mani ai fornelli?
R: Si, perché no? È bello che qualcuno cucini per te, ma se la mia potenziale compagna (o compagno, nel caso cambiassi idea sui miei gusti sessuali) provvede a portare lo stipendio a casa io il casalingo lo faccio più che volentieri.

D: Quando ha scoperto questa sua passione?
R: Ai tempi dell’università. Prima era impossibile avvicinarsi ai fornelli di casa senza che si attivasse l’allarme/urlo di mia madre.

D: Ci racconta il suo primo ricordo legato al cibo?
R: Dovrei parlare del seno di mia madre, immagino; ma penso che di questo ne parlerò con la mia psicanalista. Ti parlerò di quando da bambino mangiavo molto poco, quasi niente. La prima volta che ho avuto davvero voglia di mangiare fu in ospedale. Ero stato operato urgentemente di appendicite e quindi dovetti stare a digiuno per giorni, mangiavo solo tè e mezza fetta biscottata al giorno, a quel che ricordo: invocavo la pasta e fagioli di nonna, mai mangiata prima di allora!

D: Ha un piatto che ama e uno che detesta?
R: Ne amo troppi e ne detesto pochi (forse non detesto niente, a parte il junk food, che pure capita di mangiare). Mi piace un sacco la cucina cinese, la zuppa di cipolle, le zuppe di cereali in generale, la carbonara, il lardo, lo strutto spalmato sul pane caldo... potrei continuare all’infinito...

D: Un colore dominante proprio di cibi che la disgustano?
R: Non saprei. Una volta avevo il disgusto dei carciofi, che da bambino adoravo, ma da qualche tempo ho ripreso a mangiarli. Evidentemente fui vittima di qualche trauma legato alla figura del carciofo, trauma che ora, man mano, sto superando: vado in analisi proprio per questo.

D: Quando è in fase creativa ha un rito scaramantico legato al cibo? Prende caffè? O tè, una bibita speciale per stare fermo a scrivere?
R: Alcolici, di qualsiasi tipo, meglio se un buon vino rosso corposo o un distillato invecchiato.

D: Scrive mai in cucina?
R: No, mai.

D: Altrimenti dove ama scrivere? E a che ora le viene più naturale?
R: Sono molto produttivo la mattina presto, dalle 7:00 in poi. Di solito scrivo sul letto. I pensieri di solito invece mi vengono nel luogo antitetico alla cucina: il bagno.

D: Si compra cibo pronto (tramezzini, pizza, snack) o si cucina anche quando è molto preso dalla scrittura?
R: Difficilmente mangio schifezze. Di solito ci pensa mia madre al rifocillamento, quindi sto a posto così.

D: Che tipo di cibo desidera di più quando scrive ed è preso dal suo lavoro? Salato o dolce?
R: Io preferisco in generale il salato, se amaro ancor meglio. Anche per i dolci preferisco le cose amare, tipo la cioccolata fondente. Quando scrivo, come già detto, più che altro bevo.

D: Ha un aneddoto legato al cibo da raccontarci? O una cosa carina e particolare che le è accaduta?
R: Ricordo che la prima volte che ho fatto la salsiccia al vino, uno dei miei primi esperimenti culinari, ‘sto vino continuava a evaporare e io continuavo ad aggiungerne. Alla fine ce ne misi una bottiglia intera: da salsiccia al vino divenne salsiccia ubriaca!

D: Lei è uno scrittore, quando esce a cena con i suoi amici  che tipo di locale preferisce?
R: Dipende dal mood. Basta che non siano locali con la musica a palla (a meno che non ci sia un concerto) e dove si possa interloquire. E dove si servano prodotti quanto meno dignitosi.

D: E quando esce con la sua compagna?
R: Come sopra.

D: Oppure per festeggiare una pubblicazione?
R: Mai festeggiato. Ma i miei amici (le idee “assurde” di Chiara Cammarano e Diego Errico) ci hanno pensato per me, all’uscita di “Breve guida al suicidio”, portandomi una colomba pasquale... impiccata. È anche un aneddoto fondamentalmente culinario, quindi cade a fagiolo (ancora cibo) per questa intervista.

D: Cosa tende a ordinare in un locale?
R: Ancora una volta dipende dal mood. Di solito quando esco, a meno che non si esca con il proposito di fare una cena, non mangio. E allora potrei ordinare vino, birra, se ce n’è di buona (adoro le weisse), o qualche distillato (ultimamente gin), se ho freddo un tè allungato con il gin o con il rum, fra i cocktail o il martini (giusto con una spolverata di vermouth, eh) o il negroni.

D: Nelle sue presentazioni offre un buffet? Pensa sia gradevole per gli ascoltatori intervenuti?
R: Mai fatta una presentazione in vita mia ma, se dovessi mai farne, potrebbe essere interessante fare una degustazione di rum accompagnata da cioccolata fondente e sigari.

D: Tende a fare un aperitivo con due olive e patatine o a offrire quasi un pasto completo?
R: Pasto completo: per dirla un po’ volgarmente nel dialetto del mio paese (Licusati, in provincia di Salerno), olive e patatine nun t’arrivanu mangu n’ganna.

D: Ha mai usato il cibo in qualche storia?
R: Il cibo fa parte della vita e nelle storie si racconta la vita: quindi, si, rientra anche il cibo fra gli aspetti delle mie storie.

D: Ad esempio in “Breve guida al suicidio” ci sono passi che ricordano cibi o profumi di cibo?
R: Sì. E sono profumi di merda.

D: Il cibo è mai protagonista?
R: Si, c’è un episodio ambientato in un fast food. E questo spiega la risposta alla domanda precedente.

D: “Breve guida al suicidio” a che ricetta lo legherebbe, e perché?
R: Alla cucina spazzatura, perché “Breve guida al suicidio” parla principalmente dello schifo che fa l’essere umano e di quanto faccia schifo il sistema economico che abbiamo creato e che influenza tutto il vissuto di noi povere vittime del nulla (perché i soldi sono il nulla).

D: Per concludere ci potrebbe regalare una sua ricetta? Quella che le riesce meglio?
RICETTA
Pennette con salmone, noci e pistacchio al cognac
In una padella soffriggere le cipolle
Una volta dorate aggiungere noci (spezzettate) e pistacchi
Aggiungere il salmone affumicato tagliato a pezzetti
Bagnare con cognac e aspettare evapori
Saltare le pennette con quanto in precedenza preparato insieme a qualche tuorlo d’uovo sbattuto (io non lo faccio cuocere troppo, giusto qualche secondo, preferisco rimanga leggermente liquido)

D: Quale complimento le piace di più come cuoco?
R: Visto che è doveroso essere aperti a tutte le culture direi che un bel rutto, come da tradizione islamica, può andare più che bene.

D: E come scrittore?
R: Se qualcuno dovesse dirmi che è riuscito a riflettere su alcuni aspetti beceri della nostra società grazie al mio libro ne sarei più che contento.

D: Che frase tratta dalla sua opera o dalla sua esperienza di scrittore possiamo portarci nel cuore uscendo dalla sua cucina?
R: Ti lascio con il brevissimo episodio sul fast food, tratto dalla sezione “Metodi di suicidio”:
AVVELENAMENTO
            Un giorno Giorgio Boccabuona si recò da …
(ho dovuto togliere il nome), pensate a un fast food.
Federica Gnomo

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