IN
CUCINA CON LO SCRITTORE
Interviste culinarie di
Federica Gnomo Twins
Oggi salutiamo e ringraziamo l‘autore Luca
Fadda, Bentesoi, Edizioni Nulla Die, 2013, per averci aperto la porta della
sua cucina.
“Amare, come il sentimento all’infinito, come il
sapore delle parole dell’addio”
Questa frase, tratta dall’inizio del diario del
protagonista, riassume tutta la vicenda narrata in Bentesoi. Tra l’amore e
l’amaro scorre la storia, che trae spunto dal primo libro di Patricia Highsmith
(Sconosciuti in treno), soggetto originale del film di Hitchcock “Delitto per
Delitto”. Con le dovute varianti, Bentesoi è un romanzo a tinte noir, la storia
di un’amicizia giovanile sfumata e la sua evoluzione nella maturità dell’età
adulta. Il passato che torna con un sapore nuovo, sferzato da ferite mai
rimarginate dal tempo. E come recito in quarta di copertina, il ritorno al
passato non è mai indolore. Per nessuno.
La prima domanda di rito è: le piace
mangiare bene? E cucinare?
Diciamo che il mio mangiare è semplice, a volte un
panino mi basta, soprattutto quando sono da solo. Anzi, quando sono solo mi
dimentico proprio del pasto. Al contrario il cucinare è una cosa che proviene dai
miei geni: il cuoco di casa era papà, e le mie sorelle sono ottime cuoche. A me
piace cucinare e cerco sempre di essere originale. Non mi accontento della
ricetta precisa da eseguire come un automa, la ragiono la ricetta che preparo.
Se un ingrediente non mi va, non lo uso, e se mi sembra che manchi, lo
aggiungo. Così come i procedimenti, soprattutto all’inizio di una preparazione.
Lo fa per dovere o per piacere?
Non saprei. In realtà io ho preso in mano la
cucina fin dal primo giorno di matrimonio. E da allora è un mio feudo
personale. Però è una cosa che mi piace, mi fa sentire vivo correre dietro alle
varie fasi della preparazione di un piatto.
Invita amici o è più spesso invitato?
Non faccio una grande vita sociale e la maggior parte delle volte sono
invitato. Ma ci sono periodi nell’anno in cui ci scateniamo con gli inviti e a
quel punto io mi scateno in cucina. Posso alzarmi alle cinque per fare una
pasta al forno perfetta.
Ha mai conquistato amici o una donna cucinando?
Non credo. Se è successo, è stato a mia insaputa. La sola idea che un uomo
cucini bene, conquista; anche se a me non sembra una gran cosa. È come dire che
una donna sa guidare bene l’auto: non ci vedo niente di strano.
Vivrebbe con una compagna o un compagno che non sa mettere
mani ai fornelli?
In parte lo faccio. Non che mia moglie non sappia cucinare (ma non ne ho la
minima idea), però io la escludo da questi frammenti della giornata. Lo faccio
per piacere mio (e del palato suo e di mio figlio), quindi credo che non avrei
problemi nel vivere con chi non sa nemmeno accendere un fornello.
Quando ha scoperto questa sua
passione?
Credo che fosse all’università, perché a casa papà monopolizzava i
fornelli. Io da studente vivevo con altri quattro colleghi e cucinavamo a
turno. Loro facevano la pasta al sugo, o scaldavano le pietanze portate da casa.
Io invece portavo gli ingredienti, per poi preparare il pranzo e la cena.
Ci racconta il suo primo ricordo
legato al cibo?
Come ricordo diretto, ho in mente sempre una teglia enorme (ero piccolo,
forse cinque o sei anni) di gamberoni al forno. Non era la prima che veniva
portata a tavola, ma mentre gli altri invitati mangiavano ancora uno, due
gamberoni, io continuavo a strafogarmi fino all’ineluttabile. Credo che siano
passati almeno dieci anni tra quel giorno e la prima volta che mangiai di nuovo
gamberoni.
Ha un piatto che ama e uno che
detesta?
Non ho grandi preferenze, mangio praticamente tutto. Ma la carne è
sicuramente il mio alimento preferito, e non necessariamente cucinata in
maniera classica. Amo gli intingoli e le forme interessanti del cibo. Per
esempio, a mio figlio ogni tanto cucino le “uova di carne”: in pratica sono
fettine di vitello che avvolgono una fetta di pancetta (o speck, prosciutto
crudo o cotto) un uovo sodo, il tutto cotto in umido.
Se mi chiedete qualcosa che detesto, però, non posso che citare la trippa.
Già l’odore in cottura mi fa stare a digiuno per due giorni.
Un colore dominante proprio di cibi
che la disgustano?
Il grigio-trippa, se è un colore. Ma il grigio è triste in un piatto, a
prescindere dalla trippa. Posso mangiare un risotto nero (fatto col nero di
seppia), ma non uno grigio.
Quando è in fase creativa ha un rito
scaramantico legato al cibo? Prende caffè? O tè, una bibita speciale per stare
fermo a scrivere?
Nessun rito scaramantico, ma nelle pause mi affogo di caffè. E se sono solo
salto i pasti, appesantiscono mente e corpo portando alla pennichella. Anche se
la fase di pre-addormentamento è proficua per i pensieri, non sempre viene
accettata dal ricordo, per cui preferisco essere il più vigile possibile mentre
scrivo.
Scrive mai in cucina?
Scrivo usando un portatile e quando sono da solo in casa è poggiato sul
tavolo di cucina. Se devo cucinare, mi piace alternare scrittura e cottura.
Credo che la fase creativa di qualsiasi attività vada a influire su quelle delle
altre. Forse è per questo che se non ho idee per una storia, creo un piatto
laborioso.
Altrimenti dove ama scrivere? e a
che ora le viene più naturale?
Ho una postazione di scrittura nella mansarda di casa. Quella era la
postazione da “cinque del mattino”. Mi alzavo presto per scrivere, perché le
idee mi assillavano tutta la notte. A volte dormivo un’oretta e mi mettevo
all’opera.
Adesso è diverso, perché non vado neppure a letto. In pratica dormo una
notte ogni tre. La notte è perfetta per scrivere perché puoi immaginare di
tutto: anche la luce, e la immagini come vuoi tu. Alla luce, invece, puoi solo
descrivere ciò che è sotto gli occhi di tutti.
Si compra cibo pronto ( tramezzini, pizza,
snack) o si cucina anche quando è molto preso dalla scrittura?
Se sono molto preso, di solito non mangio. Se devo mangiare, preferisco
comunque cucinare. È difficile che troviate a casa mia dei cibi pronti. L’unica
concessione sono le spinacine d’emergenza.: se si rientra tardi la sera, e si è
a digiuno, un salto nel forno e via. Ma a dire il vero non so se in fondo al
freezer ce ne siano ancora.
Che tipo di cibo desidera di più
quando scrive ed è preso dal suo lavoro? Salato o dolce?
Non sono un grande amante del dolce, tanto che i dolci sono l’ultima cosa
che ho imparato a preparare, anche se adesso li preparo ogni settimana. Però
assaggio per capire come sono venuti, il resto è tutto per mia moglie e mio
figlio. Il salato invece mi stuzzica, e niente è meglio di una bella fetta di
pane con prosciutto crudo per risvegliare l’attenzione.
Ha un aneddoto legato al cibo da
raccontarci? O una cosa carina e particolare che le è accaduta?
Non è un vero aneddoto, ma una maledizione. Di solito al fine settimana
preparo la pizza. E mi viene perfetta, detto senza falsa modestia, nonostante
cambi spesso il procedimento. Però quando invitiamo qualcuno per una pizzata
casereccia, non so perché ma succede sempre qualcosa. Nel mio curriculum ho l’impasto non lievitato, il forno che brucia
la pasta, il forno che si spegne a metà cottura e la farina nuova che scopro (a
dispetto dell’etichetta) essere integrale.
Ma nell’intimità della famiglia, la pizza è sempre perfetta. Io la chiamo,
con poca fantasia, “La maledizione del sabato sera”.
Lei è uno scrittore (cito dal suo
blog) d’AltriMenti. Quando esce a cena con i suoi figli, o amici che tipo di locale preferisce? E quando esce
con sua moglie? Oppure per festeggiare una pubblicazione? Cosa tende a ordinare in un locale?
Non credo che “lo scrittore” ordini, lui scrive. Essendo abituato fin da
piccolo a mangiare sano e saporito, ho una specie di rigetto verso i ristoranti
veri e propri. Non sono mai soddisfatto. La mia scelta è sempre per la
pizzeria, perché la pizza è buona anche fuori casa. Altrimenti se ci sono
periodi in cui mi va proprio l’abbuffata, e allora un agriturismo è la cosa
migliore: mangi sempre le stesse cose (la novità è per i turisti non sardi, di
solito), ma sono genuine, come fatte in casa.
Non festeggio le pubblicazioni, quando arrivano le vedo solo come l’inizio
di un lungo percorso. Se il mio editore, un giorno, mi chiamerà per dirmi che
ho superato le centomila copie, allora avrò qualcosa da festeggiare.
Nelle sue presentazioni offre un
buffet? Pensa sia gradevole per gli ascoltatori intervenuti?
Tende a fare un aperitivo con due
olive e patatine o a offrire quasi un pasto completo?
Devo essere sincero nel dire che non ho ancora fatto presentazioni, per
scelta più che altro. Ma per Bentesoi ho già pensato a tutto. Il buffet non può
mancare: attira più un panino con prosciutto e formaggio (sardi entrambi) e un
buon bicchiere, che la copertina titolata di un libro. Un vero lettore verrebbe
anche senza buffet, ma un vero lettore comprerebbe il libro, forse, anche senza
presentazione.
La mia idea di buffet è un pasto completo. Certo, nessuna suddivisione in
primi, secondi e contorni. Parlo di panini, spicchi di formaggio, insaccati,
tortine salate e dolci. Se fosse per me preparerei tutto io, ma non mi piace
passare da egocentrico. Trovo comunque che sarebbe un momento di relax,
soprattutto per me, dopo la tensione della presentazione. E un modo carino per
rispondere, in veste privata e senza divisioni tra me e il pubblico, alle
domande degli invitati.
Ha mai usato il cibo in qualche
storia?
Ad esempio in Bentesoi
ci sono passi che ricordano cibi o profumi di cibo?
Ho usato il cibo nel primo libro, in un racconto (Macellazione abusiva) in
cui il cibo è un po’ surreale, tanto che tratta di una macelleria abusiva di
carne umana. Ma in generale non cito i cibi se non in maniera molto sfumata.
In Bentesoi i due protagonisti si parlano a lungo davanti a una cena tipica
sarda, ma non entro nel dettaglio delle portate. In origine elencavo l’intero
menù a base di culurgiones, panadas, maialetto arrosto, dolci secchi sardi, ma
la cosa stancava e ho limato le descrizioni restando sul generico. E anche
successivamente a quella cena, il cibo è solo lo sfondo naturale di una
giornata normale. Però questo dipende dai personaggi, sono troppo indaffarati a
vivere le loro preoccupazioni per pensare al cibo.
Il cibo è mai protagonista?
Come ho detto prima, in Macellazione
abusiva il cibo è il protagonista. In tutti i sensi, anche quelli meno
apparenti. Ma per ora, non mi è capitato di inserirlo come oggetto di una
storia complessa. In futuro non si sa mai però.
Benesoi a che ricetta lo legherebbe, e perché?
Un qualsiasi piatto elaborato, per l’intreccio che si è creato durante la
scrittura. Mi riferisco a quei piatti che fondono assieme il dolce, il piccante
e il salato per ottenere un sapore delicato. Penso che una bella anatra
all’arancia faccia al caso mio: il dolce dell’arancia è un contorno (l’amore)
che serve a smorzare il gusto forte della selvaggina (il rancore, l’odio, il
rimorso). Per palati fini, o forse per chi ha semplicemente fame.
Per concludere ci potrebbe regalare
una sua ricetta? Quella che le riesce meglio?
Non ho una ricetta che mi riesce meglio, e non ho un piatto forte da
offrire. Capita di rado che io prepari più di due volte nell’anno lo stesso
piatto. Ma a questa ricetta sono affezionato perché è un’idea che mi è venuta
in spiaggia, due anni fa, e ho cercato di crearla mettendo assieme un po’ di
conoscenze culinarie. Il risultato è sorprendente, perché mi permette di
cucinare l’agnello senza doverlo fare arrosto. Qui è tradizione l’agnello
arrosto, ma io al forno non lo faccio per non impestare la casa dell’odore, e
fuori non mi sono ancora attrezzato con il barbecue.
AGNELLINO E CECI
Ingredienti
per tre adulti
-
Agnellino da
latte: un quarto (circa 2 Kg), meglio se è la parte con il cosciotto;
-
Ceci: 250 grammi
(da fare ammorbidire in acqua non salata per almeno otto ore);
-
Scalogno: uno;
-
Pomodori
freschi: circa 400 grammi (sbucciati e tagliati a cubetti);
-
Brodo di
carne caldo: un litro (preferibile il brodo di agnello, ma uso anche quello di
dado leggero, fatto con un dado ogni litro d’acqua);
-
Sale: tre
prese;
-
Olio extravergine
d’oliva: 8 cucchiai.
Attrezzatura
particolare
-
Una
casseruola in alluminio (o materiale antiaderente) da 40 centimetri di diametro,
dotata di coperchio;
-
Una
mannaietta per spezzare le ossa;
-
Coltelli ben
affilati per le parti di solo muscolo;
Preparazione
Pezzare la carne in tocchi non troppo piccoli,
all’incirca 7-8 centimetri. Far rosolare a fuoco vivo nell’olio i pezzi di
carne su tutti i lati. Quando la carne ha un colore dorato, unire lo scalogno
tritato e i quadrati di pomodoro. Continuare a rosolare ancora per cinque
minuti, poi aggiungere il brodo caldo e salare, quindi aggiungere i ceci
scolati.
Portare a ebollizione, abbassare la fiamma,
cuocere scoperto e a fuoco medio per circa 75 minuti, mescolando di tanto in
tanto, o comunque fino a che il brodo non sarà consumato quasi del tutto.
Servire caldo, ma non bollente. Se è possibile,
far raffreddare completamente il preparato e riscaldare sul fornello, per un
sapore più corposo.
Quale complimento le piace di più
come cuoco?
Non amo i complimenti, preferisco un sincero apprezzamento. La parte
migliore dei pranzi e delle cene che offro, è quando un invitato fa la
radiografia di una mia preparazione e cerca di scoprirne i segreti. Poi di
solito mi chiedono la ricetta, e io non ho nessuna remora nel regalarla. Questo
è quello che mi piace. Se qualcuno ti chiede la ricetta di quello che ha
mangiato, lo fa perché ha gradito.
E come scrittore?
Stesso discorso, anche se non ho ricette per scrivere. Non amo i
complimenti diretti, in nessun caso. Meglio parlare coi fatti, con me. Diciamo
che (per parafrasare Facebook) sono un uomo da “mi piace” e non da “commenta”. Però
apprezzo quando un lettore mi avvicina a un autore che, secondo me, in qualche
modo è stato richiamato nel libro. Per esempio, a proposito di Bentesoi,
qualcuno ha avuto la sfrontatezza di accostarmi a un certo Cornel Woolrich.
Spero che, dove si trova lui adesso, non lo venga mai a sapere.
Che frase tratta dalla sua opera o dalla sua esperienza di scrittore
possiamo portarci nel cuore uscendo dalla sua cucina?
Direi un piccolo stralcio tratto da un dialogo a metà della storia, se non
altro perché parla proprio di agnelli.
— Il dopo
non sappiamo neanche se esiste. Perché rischiare di non avere nessuna
giustizia? Almeno quella terrena ce la prendiamo, per quella divina ci
penseremo a suo tempo.
—
Discorso ateo, o forse agnostico, non ricordo mai la differenza.
—
Agnostico, visto che stiamo parlando di agnelli.
Ecco, uscendo dalla mia cucina potete portarvi via
tutto ciò che avete mangiato, ma soprattutto mettervi in tasca un po’ di
ironia, che anche nei momenti più cupi aiuta a vedere un mondo meno invivibile.
Senza ironia, anche le batterie scariche del telecomando diventano un
televisore nuovo.
Grazie per la sua disponibilità
Grazie a voi, e buon appetito
Grazie mille Gnoma!!!
RispondiEliminaGrazie a te!
RispondiEliminaBella e curiosa intervista, Federica Gnomo, a un bravo scrittore nonché amico :-)
RispondiEliminaIn realtà, tra le righe, amici entrambi @.@
Complimenti x due!!!
Marina Paolucci
Nella ricetta mi appare una serie di codici incoprensibili. Capita solo a me?
RispondiEliminaDevi aver scoperto il codice segreto... in realtà nella ricetta è celato il 22.esimo segreto di Fatima...
EliminaSì,Carlo, penso di sì, capita solo a te. Io la leggo
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