Il rumore dei tuoi passi
Valentina D’Urbano
Longanesi / maggio 2012
Devo dire che il romanzo di Valentina D’Urbano mi è piaciuto subito a partire dal titolo e la cover.
Il titolo è stupendo e azzeccato, perché l’eco degli zoccoli di legno accompagna e sottolinea, come un sottofondo musicale, molti passaggi del romanzo. E la cover è didascalica perché polverosa, grigia e spenta come lo sfondo di degrado in cui si muovono Beatrice e Alfredo, e tutti i protagonisti rassegnati di questa comunità. A onor del vero, però, non tutto è sfumato, infatti sulla copertina spicca una ragazza in evidenza, e questo è voluto per sottolineare la determinazione di Beatrice di non lasciarsi travolgere completamente dall’ambiente in cui è nata.
Posso dire con sicurezza che lo stile di Valentina D'Urbano è diretto, l'autrice usa un linguaggio semplice a tratti poetico, ma sempre e comunque brusco. Questo è quanto richiedeva questa storia che parte affascinante come un romanzo d’amore, senza tratti rosa, e si trasforma in un incubo che mi ha ricordato i protagonisti di “Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino”.
Si parla infatti di affetto speciale, nato tra due bambini vicini di casa, uno dei quali si mostra subito il più debole, Alfredo, che viene quasi adottato dalla famiglia di Beatrice, per sottrarlo alle botte del padre perennemente alcolizzato. I due piccoli amici, uniti al punto di assomigliarsi e conformarsi; diventare una cosa sola, tanto da essere chiamati gemelli, saranno lo spunto per mostrarci anche un ambiente di profondo degrado in cui vivono gli abitanti di periferie sub urbane, malservite e quasi abbandonate a se stesse. Qui in realtà ho avuto il primo sobbalzo, Valentina è giovanissima ma la storia, che al principio sembra contemporanea ( a mostrare quanto poco ahimè è cambiato in certe situazioni di degrado), si colloca invece in un periodo preciso: gli anni ottanta. Mi sono chiesta se fosse stata una scelta editoriale, o no, vista la giovane età della scrittrice, poi proseguendo nella lettura, in effetti, ho pensato che dovesse essere proprio una scelta dell’autrice per il tema trattato, cioè la dipendenza dall’eroina. Droga quasi dimenticata oggi, che ha fatto e fa migliaia di morti e la cui lotta è per molte famiglie un incubo quotidiano, ma che ebbe appunto i suoi picchi proprio negli anni ottanta.
L’ amore-odio-disprezzo; legame di sangue come vero, tra Alfredo e Beatrice e tutta la sua famiglia, è però il sentimento dominante e intrigante della prima parte della storia, che comunque non rimane circoscritta ai due protagonisti ma si allarga fino a coinvolgere molti altri personaggi della comunità e la rende corale anche nel suo finale tragico.
L’attrazione che provano i due ragazzi, e il non volerlo ammettere per tutto il romanzo, la volontà ferrea di Beatrice di proteggere Alfredo, anche contro se stesso, l’amore negato e poi sublimato nel sacrificio, sono la spina dorsale del racconto che comunque si nutre di un forte senso immobilismo sullo sfondo, di morte immanente che copre ogni angolo della Fortezza, insieme all’assenza della speranza di potersi riscattare dei suoi abitanti. Tanto è vero che l’autrice , a scanso di equivoci, ci informa subito alla prima pagina che non ci sarà un lieto fine. Che questa, seppur a tratti bella e commovente, è una storia durissima. E mantiene le promesse per tutto il romanzo. Seppure giovane Valentina non cade in sbavature e percorre perfettamente la strada prefissata, mantiene coerenti i suoi personaggi fino alla fine, tranne che per un punto che io avrei evitato, un particolare nel finale che non sto però a rivelarvi, e che rende la storia meno dura e tutto sommato si poteva evitare. Il che comunque ricade nelle aspettative personali e non inficia una storia interessante, diversa, e soprattutto diretta e coraggiosa.
Voglio terminare dicendo che il romanzo e lo stile di Valentina coinvolgono tutti i 5 sensi. In ogni capitolo si avverte il gusto amaro o ferroso del sangue, i colori scialbi e grigi del cemento, il rumore dei passi di Alfredo e dell’umanità della Fortezza, simile ad un enorme animale ripiegato su se stesso, gli avvallamenti dei lividi o la rugosità delle croste sulla pelle, l’odore di sporco, muffa e urina. Ma anche quello dell’amicizia, lasciato sul cuscino di un letto dove non si consuma mai del sesso ma solo disperato bisogno d’amore e di possesso.
Federica Gnomo
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