lunedì 18 febbraio 2013

IN CUCINA CON LO SCRITTORE, Roberto Riccardi. Undercover. Niente è come sembra.



Interviste culinarie di Federica Gnomo

Oggi salutiamo e ringraziamo Roberto Riccardi, autore di Undercover. Niente è come sembra, edizioni E/O (Roma, 2012), per averci aperto la porta della sua cucina.

“La pietanza alla base del mio libro è la cocaina” - ci spiega -, “un carico di ben sette tonnellate è in viaggio dall’America latina all’Italia e sarà compito di Rocco Liguori, agente sotto copertura della Direzione Centrale Antidroga, riuscire a sventare l’illecito traffico. Per farlo dovrà infiltrarsi, entrando in contatto con esponenti di un cartello colombiano, della temibile organizzazione messicana Los Zetas interamente composta da ex militari, e della ’ndrangheta. Un piatto ricco ma difficile - per proseguire la metafora culinaria - e, a complicare la situazione, la presenza fra i narcos dell’amico d’infanzia Nino Calabrò, cresciuto con Rocco in un paesino dell’Aspromonte, di un bocconcino come Rosario Romero, affascinante esperta d’arte prestata al traffico di droga, e del generale Mendieta, un osso duro da mordere”.     
La prima domanda di rito è: le piace mangiare bene? E cucinare?
“Per dirla con Catalano, meglio mangiare bene e spendere poco che mangiare male e spendere molto. Cucinare? Sono una schiappa, non vado oltre la mera sopravvivenza”.
Lo fa per dovere o per piacere?
“Mangiare è un piacere, decisamente. Non sento mai i morsi della fame, se sono distratto da qualcosa (ad esempio scrivere) posso saltare un pasto senza accorgermene. Mi accosto al cibo sempre per gola, lo confesso”.
Invita amici o è più spesso invitato?
“Non faccio spesso nessuna delle due cose. Se sono invitato, ricambio invitando al ristorante”. 
Ha mai conquistato amici o una donna cucinando?
“Non è alla mia portata. Più facile il contrario, che i miei piatti inducano alla fuga, ma anche quello non mi pare sia successo. Almeno finora”.   
Vivrebbe con  una compagna che non sa mettere mani ai fornelli?
“Sì. Questione di giustizia, credo, non posso pretendere ciò che non so offrire”. 
Quando ha scoperto la passione per la buona tavola?
“Piuttosto tardi. Sino all’adolescenza sono andato avanti a pizze e Coca-Cola, senza accusare per questo scompensi gravi”.
Ci racconta il suo primo ricordo legato al cibo?
“Ripenso con struggente nostalgia al timballo di patate della nonna Vittoria. Non so se la distanza temporale aggiunga del suo ai ricordi, ma non credo: era veramente una delizia”.
Ha un piatto che ama e uno che detesta?
“Amo la cucina toscana e le cose semplici, per un tagliere di salumi e formaggi come si deve potrei uccidere (magari meglio farlo in un giallo, non nella vita). Non mi viene in mente un piatto detestabile”.
Quando è in fase creativa ha un rito scaramantico legato al cibo? Prende caffè? O tè, una bibita speciale per stare fermo a scrivere?
“Quando scrivo non prendo niente, non faccio altro. Sarà perché noi uomini non siamo portati per il multi-tasking…”. 
Scrive mai in cucina?
“La mia cucina, ahimé, non ha dimensioni tali da poterci scrivere”.
Altrimenti dove ama scrivere? e a che ora le viene più naturale?
“In soggiorno o in camera da letto. Di solito scrivo la mattina presto, quando l’aria è fresca e la mente pure”. 
Ha un aneddoto legato al cibo da raccontarci? O una cosa carina e particolare che le è accaduta?
“Io sono autore anche di libri sulla Shoah. Sono stato un numero e La farfalla impazzita sono biografie di vittime, La foto sulla spiaggia è un romanzo dedicato a una bambina scomparsa ad Auschwitz. Ebbene, fra le cose che mi hanno avvicinato al tema ci sono… le magnifiche crostate di un forno di via del Portico di Ottavia, nel cuore del Ghetto di Roma!”.   
Quando esce a cena che tipo di locale preferisce?
“Adoro i locali antichi, che abbiano una storia, un’atmosfera. Ma non ho preclusioni per il moderno”.
E per festeggiare una pubblicazione?  Cosa tende a ordinare in un locale?
“Quando esce un nuovo libro festeggio sempre, anche se si dovrebbe farlo solo dopo aver controllato i risultati delle vendite. Ma per me è festa grande, comunque, come se fosse nato un bambino. Cameriere champagne!”.  
Nelle sue presentazioni offre un buffet? Pensa sia gradevole per gli ascoltatori intervenuti?
“A volte l’ho offerto. Penso sia gradevole, sì, ma non si può farlo sempre”.  
Tende a fare un aperitivo con due olive e patatine o a offrire quasi un pasto completo?
“Un aperitivo, a meno che non si tratti di una cena con presentazione. Una volta me ne hanno organizzata una bellissima a Fossano, al festival Esperienze in Giallo. La cena era a tema, sul mio libro Undercover. I tavoli avevano i nomi dei personaggi del romanzo, il menu riprendeva contenuti e aneddoti della vicenda. Un’idea che ho trovato geniale”.
Ha mai usato il cibo in qualche storia? Ad esempio in  “titolo del romanzo” ci sono passi che ricordano cibi o profumi di cibo? Il cibo è mai protagonista?
“Finora non è capitato. Ma ho ancora tante storie da scrivere…”.  
Per concludere ci potrebbe regalare una sua ricetta? Quella che le riesce meglio?
“Come faccio io la pasta al pesto, nemmeno ai carugi genovesi…”.
(Nota di Federica. Alla richiesta della ricetta ironicamente l'autore mi ha confessato di usare dell'ottimo pesto pronto! Ridiamoci sopra, infondo è uno scrittore affascinante anche senza saper fare manicaretti). 
Quale complimento le piace di più come cuoco?
“La persona del cuore che, dopo aver cenato, mi guarda coi suoi occhi profondi e mi dice: Sono sopravvissuta a cose peggiori”.  
E come scrittore?
Ho fatto nottata per finire il tuo libro, non sono riuscito a staccarmi. Quando me lo dicono, resto di buon umore per tutto il giorno”.
Che frase tratta dalla sua opera o dalla sua esperienza di scrittore possiamo portarci nel cuore uscendo dalla sua cucina?
“Propongo le prime righe di Undercover, l’incipit è un classico. Aspromonte, 1985. La lattina di birra rotola veloce lungo la strada scoscesa. Il suo fragore fa voltare le vecchie sulle seggiole, davanti agli usci delle case. Sono l’anima del paese queste donne dai volti scavati, tutte uguali nei loro fazzoletti neri, nelle vesti lunghe fino ai piedi, affacciate sul mondo come se lo guardassero  dal ponte di una nave, come se non fossero mare anche loro”.   

Grazie per la sua disponibilità                                                                            
Federica Gnomo







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