Oggi salutiamo e ringraziamo Maura
Maffei, autrice di “Feuilleton”, Edizioni della Goccia, settembre 2015 per
averci aperto la porta della sua cucina.
Dublino,
1894. Nella cronaca rosa del quotidiano si parla di sir Ardal Mac Corra,
giovane e ricco industriale tessile, e della bella moglie Sibéal, figlia d’un
attore morto alcolizzato. I loro screzi e flirt, assai ghiotti per i lettori,
hanno persino soppiantato la pagina destinata al “feuilleton”.
Il
giornalista Doug Doherty propone a Sibéal di convivere con lui. Lei non lo ama
ma lo frequenta perché malata di solitudine. È indecisa. Così irrompono i
ricordi, dall’infanzia disagiata al matrimonio con Ardal, che l’ha lasciata la
sera delle nozze, alla rivelazione: «Ti ho sposato solo per il tuo danaro!»
Durante
un drammatico colloquio, Ardal rifiuta a Sibéal il divorzio. Allora lei, che lo
ritiene un bigotto, schiavo delle convenienze, decide di estorcerglielo. Lo
segue di nascosto, sperando di sorprenderlo con un’amante. Ciò che scoprirà in
quella notte sarà una rivelazione inaspettata.
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La prima domanda di rito è: le piace
mangiare bene? E cucinare?
Amo la cucina casalinga, con i sapori di una
volta, delle buone cose che mi cucinava la nonna e che riempiono i ricordi di
colori e di aromi. Amo anche cucinare, sebbene io non abbia molto tempo da
dedicare ai fornelli. Mi piace preparare piatti gustosi e dietetici, sostituendo
i condimenti troppi grassi con le spezie e le erbe selvatiche, dato che sono
pure erborista.
Lo fa per dovere o per piacere?
Un po’ per entrambe le cose: sono responsabile dei
pasti di mio marito e di mia figlia, che mangiano quasi sempre a casa, e quindi
ci tengo a offrire loro cibi sani e nutrienti, ma è anche un piacere perché in
ciò che preparo mi lascio trasportare dalla fantasia e dal desiderio di variare
spesso il menù quotidiano.
Invita spesso amici a casa o è ospite
di altri?
È una gioia invitare gli amici, per condividere
con loro un dialogo costruttivo e sereno intorno alla tavola. Mi diverto ad
apparecchiarla cercando di accordarla alla personalità degli ospiti che
verranno.
Ha mai conquistato un uomo
cucinando?
Ammetto che, quando ero fidanzata con Paolo, mi impegnavo di più
nell’inventare ricette o nel cercare piatti insoliti o esotici da preparare,
Adesso che è mio marito da ormai 21 anni prevale la necessità di scegliere cibi
soprattutto salutari.
Vivrebbe con un compagno che non sa mettere mani ai
fornelli?
Quando abbiamo ospiti, mi è gradito che mio marito
mi dia una mano in cucina, per preparare tutto in tempo e nel miglior modo
possibile. Altrimenti, per i pranzi e le cene di ogni giorno, preferisco essere
io sola a gestire mestolo, mezzaluna e tagliere…
Quando ha scoperto questa sua
passione?
Ho iniziato a cucinare più o meno quando ho
iniziato a scrivere: da bambina. Preparavo le prime torte, con l’aiuto di mia
nonna Teresina, mentre scrivevo i primi racconti.
Ci racconta il suo primo ricordo
legato al cibo?
Allora abitavo ancora a Savona: la domenica mia
mamma Elda e mio papà Angelo caricavano il barbecue sulla macchina (un
maggiolino VW) e mi portavano sul Monte Beigua, che si trova nell’entroterra di
Varazze. Qui cucinavano la carne en plain
air, raccogliendo il timo, il serpillo e il ginepro freschi per
insaporirla. Non dimenticherò mai il profumo di quelle grigliate della mia
infanzia. Come ricordo con la stessa nostalgia le frittelle di fiori di acacia
che, a primavera, friggeva la mia mamma
o i fiori di zucca ripieni di ricotta e pangrattato.
Ha un piatto che ama e uno che
detesta?
A dire il vero mangio di tutto, o meglio mangio
tutto quello che mi è permesso, visto che sono intollerante a una trentina di
alimenti, tra cui il grano, il latte, le uova, il lievito e, purtroppo, le
nocciole. Mi piacciono molto il pesce e le verdure, quindi uno dei piatti che
preferisco è senz’altro la zuppa di pesce, come la cotriade tipica della Bretagna. Mi attirano meno i piatti assai
elaborati: ecco, al ristorante non sceglierei mai le lasagne al forno o le
melanzane alla parmigiana!
Un colore dominante proprio di cibi
che la disgustano?
Il rosso delle ciliegie candite o l’azzurro del
gelato gusto puffo!
Quando è in fase creativa ha un rito
scaramantico legato al cibo? Prende caffè? O tè, una bibita speciale che la fa
stare concentrato a scrivere?
Mentre scrivo non ho mai fame: se sono sola a
casa, potrei continuare per ore, lasciando perdere persino i pasti canonici. Al
limite sgranocchio un pezzetto di cioccolato amaro, di quello che contiene
almeno l’85 % di cacao.
Scrive mai in cucina?
Scrivo quasi sempre in cucina, perché il tavolo è
più grande della scrivania e mi permette di tenervi aperti sopra tanti libri
contemporaneamente. Scrivendo romanzi storici d’ambientazione irlandese,
infatti, ho bisogno sempre il vocabolario e la grammatica in lingua gaelica e
monografie sul periodo storico che fa da sfondo al libro.
Altrimenti dove ama scrivere? e a
che ora le viene più naturale?
A volte scrivo anche nello studio: più che altro
vi rileggo testi già ultimati, perché mi piace limare lo stile per renderlo il
più possibile scorrevole e musicale. Se, invece, ho bisogno della massima
concentrazione, esco di casa e vado in biblioteca. Il mio ultimo romanzo, ad
esempio, per esigenze varie l’ho composto tutto nella Biblioteca di
Alessandria.
Non ho un orario fisso, per scrivere: di solito
scrivo al pomeriggio, perché al mattino tengo in ordine la casa. Ma qualsiasi
momento è buono per trasporre sulla pagina la giusta ispirazione.
Si compra cibo pronto ( tramezzini, pizza,
snack) o si cucina anche quando è molto preso dalla scrittura?
A causa delle mie intolleranze alimentari, non
posso mangiare né panini né tranci di pizza. Se sono molto presa, piuttosto
mangio un piatto di frutta. Se ho l’idea giusta da sviluppare mi si chiude lo
stomaco e, cioccolatino amaro a parte, lavoro a oltranza.
Ha un aneddoto legato al cibo da
raccontarci? O una cosa carina e particolare che le è accaduta?
Risale al mio primo viaggio in Irlanda: mia mamma,
conoscendo la mia passione per l’Isola di Smeraldo, mi regalò una vacanza tutta
irlandese per la mia brillante promozione all’esame di terza media. Vi
arrivammo con treno e traghetto (ancora adesso non amo volare). Ricordo che la
mia prima colazione nell’albergo di Dublino fu un po’ scombussolata dalla mia
gioia di essere finalmente là: ero talmente emozionata che versai nel the il
sale al posto dello zucchero e che lo bevvi ugualmente perché nessuno si
accorgesse che avevo combinato un pasticcio. È stata la tazza di the più
disgustosa della mia vita!
Lei è una scrittrice di romanzi
storici: quando esce a cena con i suoi figli o amici che tipo di locale
preferisce? E quando esce con suo marito? Oppure per festeggiare una
pubblicazione? Cosa tende a ordinare in
un locale?
In ogni caso prediligo le osterie o le trattorie
tipiche, in cui si preparano piatti regionali e cibi cosiddetti poveri.
M’intrigano le reti appese alle pareti o le foto incorniciate che risalgono a
un secolo fa oppure le stoviglie di terracotta o le formelle di rame sulle
credenze velate di pizzi antichi…
Ordino ciò che è semplice e che è insolito, nel
senso che non si mangia comunemente. Non prendo mai primo e secondo insieme:
scelgo uno dei due, con un antipasto di verdura o con un contorno.
Nelle sue presentazioni offre un
buffet? Pensa sia gradevole per gli ascoltatori intervenuti?
Tende a fare un aperitivo con due
olive e patatine o a offrire quasi un pasto completo?
Il 2 ottobre scorso, qui a Casale Monferrato, che
è la mia città, c’è stata la prima presentazione assoluta del mio romanzo
“Feuilleton”. Si è tenuta in una splendida chiesa barocca, ossia la chiesa di
Santa Caterina, che è un gioiello da restaurare e per questo è stata istituita
una Onlus per valorizzarlo e per sensibilizzare l’opinione pubblica. Sono stata
quindi ospite del Santa Caterina Welcome Center che, grazie all’appoggio di
produttori locali, mi ha organizzato un aperitivo da favola nel coro ligneo della
chiesa (avrebbe dovuto essere sul sagrato, ma quel giorno pioveva), con tartine
spalmate con i nostri intingoli monferrini, con fette di muletta, che un
prezioso salame della zona, e con il buon vino rosso delle nostre colline. È
stato davvero molto apprezzato dal pubblico intervenuto.
Ha mai usato il cibo in qualche
storia?
Ad esempio in “Feuilleton”
ci sono passi che ricordano cibi o profumi di cibo?
Il cibo è mai co-protagonista?
Molte scene dei miei romanzi si svolgono a desco,
perché essere insieme intorno alla tavola facilita il dialogo o mette in
evidenza le tensioni latenti tra i personaggi. Quindi mi capita spesso di
descrivere che cosa si mangia, anche se non posso affermare che il cibo assurga
a ruolo di protagonista. In “Feuilleton” ci sono tre episodi fondamentali che
avvengono a cena, perché quando si è seduti uno di fronte all’altro ci si
guarda negli occhi e si ritrova il coraggio delle parole e delle decisioni.
“Feuilleton” a che ricetta lo legherebbe, e perché?
Sicuramente “Feuilleton” è legato all’Irish stew,
ossia allo stufato irlandese, quello che non manca mai sulla tavola dei miei
protagonisti nelle occasioni importanti. Forse è il piatto irlandese più
conosciuto nel mondo, ma io l’ho scelto per giocare con l’apparenza, ingannando
il lettore con un tradizionalismo che può essere rigido e incolore o mascherare
piuttosto valori più profondi di quelli che trapelano a prima vista. Ciò che è
tradizionale, per me, ha sempre in sé il fascino e la nostalgia di un’Aurea aetas da riscoprire.
Per concludere ci potrebbe regalare
una sua ricetta speciale? Quella che le riesce meglio?
*IRISH STEW
ALLA FEUILLETON*
Ingredienti: (dosi per 4-5 persone)
-
700 grammi di
polpa di montone;
-
300 grammi di patate;
-
300 grammi di cipolle;
-
2 o 3 carote;
-
sale e pepe,
quanto basta;
-
un mazzetto di odori.
Preparazione:
Scegliete la carne di montone,
prediligendo un taglio tenero e poco grasso. Se vi trovate nella stagione
giusta, potete sostituirla con quella d’agnello o d’agnellone. Passatela sotto l’acqua corrente e
tagliatela a cubetti regolari, piccoli ma non troppo, che porrete in una
casseruola con i bordi abbastanza alti.
Mondate, a questo punto, le verdure e
gli aromi. Le patate e le cipolle andranno sbucciate e ridotte a dadini o
affettate, come preferite, mentre le carote, dopo essere state accuratamente
spazzolate o addirittura raschiate, andranno fatte a rondelle sottili.
Mescolate i pezzi di patate, di
cipolle e di carote alla carne e coprite il tutto con acqua fredda.
Accendete il fuoco e portate a
bollore. Dopo aver eliminato la schiuma che affiora in superficie, conviene
assaggiare e regolare di sale e, volendo, di pepe. Gli aromi dovranno essere
aggiunti a metà cottura: vi consiglio il prezzemolo, la maggiorana e l’erba
cipollina ma, pur evitando i sapori troppo mediterranei, può andar bene
quant’altro vi suggerisce la vostra fantasia.
Occorre cucinare lo stufato a fiamma
dolce, facendolo sobbollire, per un tempo compreso tra l’ora e mezza e le due
ore, controllando che non asciughi troppo e incorporando eventualmente un mezzo
bicchiere d’acqua quando serve. A cottura ultimata, il suo aspetto dovrà essere
vellutato, non troppo liquido e la carne si presenterà in dadini compatti ma
decisamente morbidi.
Questa che vi propongo è la versione
tradizionale, casalinga, del piatto più famoso della cucina irlandese che, non
prevedendo l’impiego di grassi aggiunti, risulta anche assai digeribile.
Vi segnalo tuttavia una variante, più
elaborata, che a volte viene servita nei ristoranti e che, sinceramente, mi
convince meno. Non è un vero e proprio stufato ma assomiglia piuttosto a una
cosiddetta blanquette. Se volete
provarla, procedete come sopra. Quando però la carne comincerà a essere tenera,
toglietela dalla pentola e passatela in una besciamella fatta con farina, burro
e, anziché il latte, un po’ del liquido di cottura dello stufato stesso,
affinché la salsa rimanga fluida. Cuocete il montone nella besciamella per una
decina di minuti, quindi rituffatelo nello stufato, date ancora una fiammata e
poi servite.
Quale complimento le piace di più
come cuoco?
Mi fa piacere quando i commensali mi dicono che
ciò che ho preparato è digeribile e che le portate sono ben armonizzate tra
loro.
E come scrittore?
Sono orgogliosa quando i lettori affermano che le storie che narro sono
vere, che i personaggi fanno parte del loro vissuto e che le pagine dei miei
romanzi hanno suscitato in loro delle domande. Sono infatti convinta che ogni
romanzo debba essere l’occasione di un dialogo tra chi scrive e chi legge, per
riscoprire insieme ciò che conta davvero nel nostro esistere.
Che frase tratta dalla sua opera possiamo portarci nel cuore uscendo
dalla sua cucina?
Da “Feuilleton”, Libro III, Capitolo II:
“Lo aveva atteso:
tanti piccoli segnali glielo testimoniavano e lo facevano gioire. […]
Passando davanti alla cucina, aveva assaporato infine l’odore pieno dello
stufato d’agnello. Era tradizione che comparisse sulla mensa dei Mac Corra in
tutte le occasioni importanti. E c’era la tovaglia migliore, sul tavolo.
L’argenteria e le posate erano state lucidate. Scintillavano. Un vino rosato
sprigionava la sua nota cupa sotto i cristalli del lampadario.”
Grazie per la sua disponibilità
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Maura
Maffei è ligure di nascita e piemontese d’adozione. Erborista, cantante lirica,
impegnata nel volontariato come insegnante di Metodo Billings per la
regolazione naturale della fertilità di coppia e come presidente diocesano di
Azione Cattolica Italiana, ha pubblicato con Marna 2 romanzi, Il traditore (1993) e Le lenticchie di Esaù (2003), e il
saggio sul diario di guerra del capitano Pietro Apostolo, intitolato La Lunga strada per Genova (2007). Per
la prestigiosa Casa Editrice irlandese Coiscéim, specializzata in testi in
lingua irlandese, ha pubblicato il romanzo storico medioevale An Fealltóir (1999). Ha collaborato per
sette anni con la rivista Keltika, a
diffusione nazionale e vendita in edicola (la testata ha chiuso nel 2007),
firmando oltre 200 articoli monografici sulla storia, la cultura, la
letteratura e la musica in Irlanda, Scozia, Cornovaglia, Bretagna e Galizia. Il
28 aprile 2012 il suo romanzo inedito Feuilleton
ha vinto una puntata della trasmissione di RAI Radio 1 Tramate con noi. Finalista nel 2012 al Torneo IoScrittore di GeMS, ha pubblicato il 24 aprile 2013 in e-book il
romanzo storico Astralabius,
ambientato nella Francia XII secolo e ispirato al contrasto dottrinale che
oppose il filosofo bretone Pietro Abelardo a san Bernardo di Chiaravalle. Il 25
ottobre 2014 la sua tragedia An Nuachar
– Lo sposo (che aveva ottenuto la
medaglia di bronzo al XX Premio Firenze 2002) si è classificata
seconda, ma prima classificata nella sezione Teatro, al Concorso Letterario
Nazionale Cinquantesimo Marcelli ed
è stata pubblicata nel dicembre dello stesso anno in edizione digitale.
Il
30 agosto 2015 il suo romanzo La sinfonia
del vento ha vinto il primo premio assoluto al 56° Concorso Letterario Internazionale “San Domenichino – Città di
Massa”, nella sezione narrativa inedita; il romanzo sarà pubblicato nella
primavera del prossimo anno.
Intanto,
oltre a Feuilleton, pubblicato da
Edizioni della Goccia a fine settembre 2015, l’autrice ha altri libri in
pubblicazione: il suo romanzo più ampio, pensato come una saga familiare, scritto
a quattro mani con il linguista, scrittore e storico irlandese Rónán Ú. Ó Lorcáin e intitolato Dietro la tenda, sarà presto pubblicato
dalla Casa Editrice piacentina Parallelo45 sotto forma di trilogia. Il primo
volume, Dietro la tenda – La fragilità
della farfalla, uscirà probabilmente già per Natale. Seguiranno nei
prossimi mesi Dietro la tenda – L’ala
del corvo e Dietro la tenda – L’astuzia della volpe, tutti ambientati
nel Connemara del XVIII secolo.
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