lunedì 4 marzo 2013

IN CUCINA CON LO SCRITTORE Marta Leri, Il riccio e la castagna.


Interviste culinarie di Federica Gnomo

Oggi salutiamo e ringraziamo Marta Leri, autrice del romanzo “Il riccio e la castagna”, Ferrari editore, 2011, per averci aperto la porta della sua cucina.
       
Mi chiamo Marta Leri, sono nata a Firenze il 28.08.1955. Vivo a Manziana, vicino a Roma.  Nel 2007 mi sono ammalata di cancro e ho iniziato un lungo percorso che mi ha portato a cambiare totalmente la mia vita.  Ho deciso di raccontare questa mia esperienza, in un romanzo intitolato "Il riccio e la castagna".
Il mio desiderio è quello di trasmettere speranza e fiducia a chi è colpito da questa malattia o ha un parente o un amico in questa condizione perché  sono convinta che la fiducia nella propria guarigione sia fondamentale per il successo delle terapie. La malattia è un messaggio che il nostro corpo ci manda per avvertirci che la nostra vita ha bisogno di cambiamenti, chi sa ascoltare il proprio corpo può entrare veramente in connessione con la vita.

La prima domanda di rito è: le piace mangiare bene? E cucinare?
Mi piace mangiare bene, un po’ meno cucinare.
Quindi cucina più per dovere che per piacere?
Lo faccio spesso per nutrirmi in modo sano, non mi piace mangiare al ristorante, né tanto meno mi piacciono cibi di tavola calda, rosticceria e fast food; qualche volta lo faccio per piacere, soprattutto se ho ospiti.
 Invita amici o è più spesso invitata?
Qualche volta vengo invitata ma preferisco invitare.
 Ha mai conquistato amici o un uomo cucinando?
No, non sono così brava in cucina, sono però stata conquistata da un uomo che sa cucinare molto bene e anche per questo l’ho sposato.
Vivrebbe con  un compagno che non sa mettere mani ai fornelli?
Penso di sì, ma dovrebbe avere molte altre qualità che compensino questa carenza.
Ci racconta il suo primo ricordo legato al cibo?
Ricordo un dolcetto che faceva mia nonna, quando l’andavo a trovare in estate. Viveva in un piccolissimo paese sull’Appennino tosco-emiliano. Il dolcetto si chiama “pattona” ed è fatto con farina di castagne, acqua e un pizzico di sale. Mia nonna metteva l’impasto tra due foglie di castagno e poi le metteva nel forno a legna a cuocere. Quando riapriva il forno si sprigionava un meraviglioso odore di legna e castagno. Occorreva aspettare qualche minuto prima di poter liberare la pattona dal suo involucro di foglie ma quei minuti erano un gran godimento per l’olfatto. Il gusto che mi dava quel sottilissimo strato di farina di castagne cotto senza olio era intenso e unico.
Ha un piatto che ama e uno che detesta?
Ci sono molti piatti che amo, quelli legati alla tradizione culinaria toscana che è la mia regione di origine. I crostini con fegatini di pollo, la ribollita, i tortelli maremmani di ricotta e spinaci, il castagnaccio. Detesto il cacciucco o brodetto e in genere il pesce cucinato con il pomodoro, le ostriche, le lumache.
Un colore dominante proprio di cibi che la disgustano?
Non c’è un colore che non mi piace, forse è più un problema di consistenza mi piacciono di più le pietanze ben cotte, ad eccezione della bistecca che mi piace al sangue.
Quando è in fase creativa ha un rito scaramantico legato al cibo?
Quando mi metto al computer mi piace avere qualcosa da sgranocchiare, come le arachidi, anacardi, chicchi di mais tostato.
Prende caffè? O tè, una bibita speciale per stare fermo a scrivere?
Bevo volentieri infusi di erbe, tè, tisane. Mai il caffè.
Scrive in cucina?
No, la mia cucina è piccola, e non c’è proprio spazio per scrivere.
Dove ama scrivere? e a che ora le viene più naturale?
Mi piace scrivere con la penna e il quaderno, di solito ho bisogno di un tavolo e di un ambiente protetto e riparato, scrivo quasi sempre in casa, sul tavolo da pranzo, qualche volta seduta sul letto, occasionalmente mi capita di scrivere all’aperto, quando sono in vacanza, al mare soprattutto. Le prime ore della mattina sono le più produttive per me.
Si compra cibo pronto (tramezzini, pizza, snack) o si cucina anche quando è molto presa dalla scrittura?
Non compro mai cibo pronto da portare a casa, se non ho tempo di cucinare, mi accontento di poco, pane e pomodoro, due uova al tegamino, un pezzo di formaggio con il pane.
Che tipo di cibo desidera di più quando scrive, salato o dolce?
Quando lavoro preferisco il cibo salato, mi sembra che stimoli di più l’attività.
Ha un aneddoto legato al cibo da raccontarci? O una cosa carina e particolare che le è accaduta?
Un aneddoto che ho raccontato nel libro: il primo anno che vivevo in campagna, raccolsi, sotto ai due castagni del mio giardino, una gran quantità di castagne, erano bellissime, chiesi come dovevo fare per conservarle e mi suggerirono di metterle a bagno per uno o due giorni, poi, fatte asciugare, si potevano conservare per alcuni mesi. Seguii il consiglio e dopo averle asciugate le misi in un sacco di iuta, dentro una cassapanca di legno, in casa. Partii per un breve viaggio. Al ritorno andai a controllare le castagne che avevo raccolto con grande  soddisfazione e le trovai irreversibilmente tutte ammuffite. Non c’era più niente da fare. Le dovetti buttare via tutte. Fu un grande dolore.
Lei è una scrittrice di storie autobiografiche, quando esce a cena che tipo di locale preferisce?
Mi piacciono i ristoranti dove si servono piccole porzioni e tanti assaggini, le luci e la musica devono essere soft, in inverno mi piace sedermi vicino al camino, nella bella stagione all’aperto. Scelgo piccoli ristoranti poco frequentati dove non si deve aspettare molto per essere serviti.
Cosa tende a ordinare in un locale?
Cerco sul menù il piatto più sfizioso, qualcosa che non conosco o che non cucinerei a casa. Può bastarmi anche solo un abbondante antipasto. Bruschette, fritti, tartine, verdure alla griglia.
Nelle sue presentazioni offre un buffet? Pensa sia gradevole per gli ascoltatori intervenuti?
Tende a fare un aperitivo con due olive e patatine o a offrire quasi un pasto completo?
Nelle prime presentazioni che ho fatto del mio libro, è stato mio marito a preparare il buffet, abbiamo offerto pane speciale fatto da lui, servito con salsa di melanzane, cous-cous, vino. Gli intervenuti hanno apprezzato molto.
Ha mai usato il cibo in qualche storia?
Nel romanzo “Il riccio e la castagna”, la protagonista, nel suo percorso verso la guarigione, affronta anche il difficile compito di cambiare le sue abitudini alimentari e si cimenta in un nuovo modo di cucinare.
Ci sono due passaggi in cui si parla di cibo, quando la protagonista comincia a capire che l’alimentazione ha una parte non secondaria nel suo processo di guarigione e decide di rinunciare ai dolci, di cui è ghiotta, e poi quando impara, con un’amica, a cucinare in modo sano e prepara dei piatti che poi offre ai suoi amici in un pranzo che inaugura l’associazione Sa.sa, sapore e salute, di cui si fa promotrice.
 “Il riccio e la castagna” a che ricetta lo legherebbe, e perché?
Lo legherei alla ricetta del castagnaccio, perché la castagna è strettamente legata a questa ricetta nel mio immaginario.
Per concludere ci potrebbe regalare una sua ricetta? Quella che le riesce meglio?
IL CASTAGNACCIO
Comprare una busta di farina di castagne di ottima qualità. Metterla in una ciotola capiente. Stemperarla con dell’acqua tiepida, aggiungendola poco alla volta e girando l’impasto con una frusta, quando si sarà ottenuta una consistenza semiliquida e si sarà completamente sciolta la farina, aggiungere un pizzico di sale, due cucchiai di olio extravergine di oliva, un po’ di uvetta sultanina precedentemente ammollata e una manciata di pinoli. Versare il tutto in una teglia ben unta di olio e versare ancora un poco di olio sopra l’impasto. Far cuocere in forno caldo per una trentina di minuti a 180°. Il segreto del castagnaccio è dato da tre elementi: la qualità della farina e dell’olio, che deve essere abbondante, e la cottura. Il castagnaccio deve essere basso e ben cotto, un po’ “scrocchiarello”.
Quale complimento le piace di più come cuoca?
Mi piace che si apprezzi il tentativo di coniugare la scelta di ingredienti sani e genuini con il gusto.
E come scrittore?
Mi ha fatto molto piacere sentirmi dire da qualcuno che aveva paura ad affrontare un argomento così ostile, e che, dopo le prime pagine, ha letto il libro tutto d’un fiato ricavandone un sentimento di speranza e di ottimismo.
Che frase tratta dalla sua opera o dalla sua esperienza di scrittore possiamo portarci nel cuore uscendo dalla sua cucina?
Una frase che pronuncia la protagonista  del mio libro: “La frutta lontano dai pasti, il pane solo a colazione. I dolci mai e, comunque, mai la sera. Attenzione ai cibi che si associano nello stesso pasto. Posso farlo, con amorevolezza. Ora sono più attenta al mio corpo. Sono in ascolto. Sono meno impaziente.”

Grazie per la sua disponibilità                                                                            






4 commenti:

  1. alessandra esposito5 marzo 2013 alle ore 19:51

    Un libro carino, allegro dove l'amicizia e la condivisione delle emozioni assumono una grande importanza.
    E quale luogo migliore di una tavola apparecchiata con tante cose sane e buone per stare insieme?

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    1. Vero: amicizia e condivisione sono due elementi importanti nella storia di Marta.

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  2. Mai intervista più adatta. Nel libro di Marta, che ho letto con estremo interesse, c'è tutta la parte che aiuta a capire come anche il cibo, se usato correttamente, sia un antidoto alla malattia. Bello anche l'aneddoto, cui l'autrice fa riferimento, relativo alle castagne ammuffite.

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  3. questo libro è molto vero, molto doloroso e coinvolgente ma anche semplice e reale, ma le ricettine sono veramente golose e non vedo l'ora di assaggiale!!!!!

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