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lunedì 23 gennaio 2017
Scrivere libri è come piantare lo zafferano
Durante una cena tra amici si parlava di colture più o meno redditizie. Tra tante qualcuno nominava lo zafferano. Subito è stato interrotto da un esperto in materia che ci ha spiegato la difficoltà non solo di coltivarlo, scegliendo il terreno giusto, raccoglierlo a mano, essiccarlo ecc...ma sopratutto commercializzarlo, cioè venderlo.
Ci si chiedeva: ma come?! Lo zafferano è costoso, molto richiesto...Ci ha risposto che in realtà non c'è una cooperativa di raccolta dalle nostre parti, e che ancora si deve fare tutto da soli: in pratica coltivare, raccogliere essiccare, confezionare e vendere da soli. Sfondare il mercato con la tua microazienda, questo rende tutto molto difficile.
Ho cominciato a ripetermi in testa: da soli. Tanta difficoltà e poi: da soli. SOLI.
E allora ho messo in relazione l'attività dello scrittore in Italia, uno scrittore medio (non uno estremamente famoso da avere ai suoi piedi l'ufficio stampa) con la coltivazione dello zafferano.
Uno bravo, con un bel romanzo su un argomento magari prezioso o molto ricercato, frutto di sacrifici e duro lavoro, Un romanzo limato bene, essiccato come lo zafferano. Un romanzo che alla fine del processo, viene lasciato solo insieme al suo coltivatore/scrittore.
In effetti l'autore, seppure supportato da una casa editrice per la confezione delle bustine, ops, del libro, deve di fatto fare tutto il lavoro di commercializzazione e vendita da solo. In pratica è imprenditore di se stesso, una voce che grida inascoltata, senza un progetto di commercializzazione o consorzio di raccolta, una piattaforma condivisa di strategie di marketing, una rete di supporto che non sia solo tecnico. Manca il meglio perché il libro si venda, manca la visibilità. A che serve avere un bel romanzo, magari un'eccellenza, se rimane confinato nelle pieghe dell' anonimato o il piccolo negozio sotto casa? Faranno risotti gialli gli amici e i parenti, magari qualche blogger e poi? Poi ti chiedi se sia giusto lavorare tanto solo per passione, per raccogliere all'alba quei fiori dai pistilli rossi e dorati, per eccitarti e stordirti di bellezza e profumo davanti a prati viola sconfinati. Te lo chiedi e richiedi tante volte, ti deprimi nel non vedere amato quello che tu tanto ami e vorresti smettere, ma poi? Poi ricominci a coltivare.
Concordo. Da imprenditrice agricola mi permetto di aggiungere che la stessa sensazione di "solitudine" si ha anche se ci si occupa di altre colture. Però. Però. La passione, cieca e irragionevole, il cuore, le radici... e il non riuscire a farne a meno fanno sì che si continui a coltivare la terra... e a scrivere. Sembra di fermare la marea con le mani, ma non puoi farne a meno. Luciana
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