Premetto, come al solito, che non sono un critico letterario,
e che non leggo molti gialli o noir. Ultimamente, visto che gli amici
ne scrivono, ho fatto qualche eccezione. Non terrò conto della stima che provo
per ognuno, ma darò una sensazione onesta.
Mi sono avvicinata a questo testo pensando di trovarvi un
po’ dell’arguzia dell’amico autore Luca Fadda, e anche un po’ di romanticismo
per via della quarta di copertina. Invece mi si è svelato uno scrittore
sconosciuto, una persona ansiosa di spiegare, molto diversa da come io lo conosco per indole.
In questo scritto Luca è un po’ troppo spesso pignolo nel
descrivere sensazioni, che sembrano
stare lì solo per darci informazioni che alla fin fine non ci servono, o si
ripetono, e spesso inconsapevolmente usano termini uguali in un genere
letterario che ha dalla sua la velocità, lo stile asciutto, la serie dei fatti, anche se il poi vado a leggermi i classici della Agatha; proprio lui che invece è spesso arguto osservatore della realtà, con
le sue miserie e debolezze, sarcastico e
cattivo, e che spesso tende a scrivere
nei post frecciatine dal lato tristemente comico. Insomma un'altra persona. L’ho spesso associato
a un napoletano grande, De Filippo.
Purtroppo non mi sono trovata davanti un’opera di narrativa, tragica e ironica, o surreale, come la vedrei nelle sue corde, ma una storia gialla, a suo dire noir, seppure non
propriamente detta per la continua interferenza psicologica. Una storia molto interiore che parte da una
amicizia profonda e che sfocia in una grande efferatezza, come solo l’invidia verso un amico di successo può spiegare. L'idea è buona, lo svolgimento un po' pesante.
Poiché è anomala, la devo
esaminare su diversi fronti. Primo l’intera esposizione. Un po’ troppo lunga
fino quasi metà, circa pag 140, quando finalmente entriamo nel giallo. Avrei
tagliato molte parti relative alla vita e al lavoro, eccessivamente descritte
con troppa precisione, e concetti ripetuti o metafore anche ridondanti. Il giallo
vero e proprio scocca tardi la sua
freccia, ma a quel punto il lettore potrebbe aver già mollato. Dopo la storia
si trasforma in azione e non solo psicologia, quindi è più adatta a "tenere" il lettore.
Seconda osservazione: è narrata in terza, ma potrebbe essere in prima persona,
tanto chi pensa, organizza e
“costruisce” è sempre Sergio. Gli altri personaggi sono come su uno
sfondo teatrale, e solo Angelo viene un
po’ fuori, ma come un burattino.
Non voglio svelare l’intreccio, ma da subito si intuisce il meccanismo e dove si vuole
andare a parare, anche con delle
ingenuità, tipo quando Sergio dice ad
Angelo di toccare bene il manico del coltello o gli dà delle istruzioni circa
dove nasconderlo, o prendere la borsa della vittima ecc. Insomma molte parti
sono un po’ scontate, con azioni dubbie, anche per una non giallista come me che al massimo vede e ama il tenente Colombo. Unica nota a favore,
il doppio finale. Ti aspetti la
soluzione del caso, e invece… altro omicidio e altro finale. Ma questa
ingiustizia a piede libero mi ha
lasciato molto perplessa. Non amo il fallimento della giustizia. Insomma non c’è
un vero ispettore ma quasi una macchietta, non un vero assassino colpevole, né
una vera giustizia. Ma forse la trovata geniale è proprio questa, nell’essere
tutto una diversa realtà. Peccato che io odi a morte l’ingiustizia e quindi
Sergio mi risulti insopportabile come tutti gli invidiosi, inetti, egoisti,
cattivi e pure fortunati.
Alla fine con tutto l'affetto che ho per Fadda, e la sincera convinzione che anche io scrivo solo per intrattenimento, senza pretese, lo consiglio però di avventurarsi in campi adatti alla sua ironia, fossero anche questi generi, ma certamente rivisitati.
Consigli tecnici non richiesti:
consiglio, nel prossimo lavoro una prosa più asciutta,
meno ridondante, meglio venti pagine in meno che due in più. Auspicherei un
romanzo di narrativa sarcastica o al limite del surreale, che è l’aspetto che
più vedo adatto all’autore. Deve stare meno attento alle descrizioni minuziose, e
cercare di usare i dialoghi per far calare il lettore in una scena in cui si
muovono i personaggi. Meglio lasciar intuire che spiegare in continuazione.
Il linguaggio semplice mi piace, non sono di quelli che
aborrono la realtà colloquiale, anzi per me è moderno un dialogo autentico, e consono alla storia e ai personaggi, ma farei
attenzione alle ripetizioni, e soprattutto a non ribadire i concetti più di una
volta nella stessa pagina o periodo.
Grazie Gnoma, ottimo lavoro critico il tuo. Utilissimo.
RispondiEliminaBrava Federica! Non conosco ancora la scrittura di Luca ma credo che tu abbia colto nel segno: quelle che tu evidenzi sono le lacune "tipiche" di chi scrive "per sé", di chi elabora una storia mentre la scrive, con l'occhio più attento alla frase d'effetto che alla costruzione di un personaggio/protagonista autonomo, indipendente, credibile e non semplice riflesso/emanazione dell'io narrante. Difetti da "esordiente" mi verrebbe da dire ma meglio sarebbe scrivere "ingenuità" di chi non si è mai seriamente confrontato con un lettore critico ed esigente, dai suggerimenti utili e preziosi per l'Autore. Complimenti! Renato Bruno www.matitarossa.com
RispondiEliminaGrazie vistalago! Spero di essere stata utile a Luca :)
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