domenica 30 settembre 2012

Il racconto hot della Domenica: CAFFE' BOLLENTE, Federica Gnomo Twins

Inauguro oggi una serie di Racconti Softhot che tanto sembrano piacere oggi agli editori ottusi, e che  in realtà  le donne ormai sono anni che si passano sottobanco e postano in vari forum privati. Niente a che vedere col porno, perché le signore sono sempre romantiche e anche il più mascalzone degli uomini alla fine trova una giustificazione.
Avverto che questo racconto, selezionato per concorso caffè letterario Moak, ha un rating V.M.17 anni.
Buona lettura e buone risatine.




CAFFE' BOLLENTE
di F. Gnomo Twins
racconto selezionato per concorso caffè letterario Moak

«Tomiiii…Tomiiii…»
La voce di Daniela mi si insinuò nell’orecchio distogliendomi da un meraviglioso sogno.
Ero ancora talmente addormentato che non mi mossi.
Allora, oltre al richiamo, Daniela aggiunse anche un braccio, poi una mano e delle dita  calde e brancolanti che cercavano di smuovermi strattonandomi.
     «Tomiiii,  svegliati!»
A quel punto le bloccai il braccio e le chiesi: «Si può sapere cosa vuoi?»
      «Oh Tomi! Dormivi?»
     «Sì, non dirmi che non ti eri accorta!»
     «Noooo…scusaaa…cioè… mmmh…  sì.»
Dicendo questo si voltò verso di me e mi diede un bacio.
     «Bacio del buongiorno, amore.»
Io ricambiai, ancora mezzo addormentato. Non protestai ulteriormente perché in effetti era un bel risveglio.
     «Ma si può sapere cosa vuoi?» domandai.
Di solito dormiva più di me ed  ero sempre io a tirarla fuori dal letto.
     «Non ho più sonno e ho voglia di un caffè. Tomiiii, caffè, altrimenti non mi alzo.»
     «Non puoi fartelo da sola? Io ho ancora sonno ed è anche freddo fuori del letto.»
     «Nooo, non sono capace.»
     «Ma devi solo mettere una capsula e spingere un tasto!»
     «Tomiii, no, dai…ieri mi sono rotta un’unghia con quella trappola.»
Insisteva, si strusciava con quel suo corpo caldo e flessuoso. Perfettamente eccitante.
Come potevo rifiutare?
E quando mai le avevo  rifiutato qualcosa?
Mi alzai a malincuore e andai in cucina.
Accesi la macchina.
Aspettai  che si scaldasse l’acqua e andasse in pressione.
Ero  scalzo e percorso da  brividi di freddo.
Preparai due caffè, visto che c’ero, uno me lo sarei preso anch’ io.
Li portai a letto.
Un vassoio, due tazze e due biscotti. Una dalia rubata da un vaso sul terrazzo.
     «Va bene, mia regina?» chiesi.
Non rispose: si era riaddormentata.
     «E no!» dissi ad alta voce, poggiando il vassoio sul suo comodino e sbattendolo forte  per fare rumore e svegliarla.
     «No, no, no!»
Mi infilai nel letto. Ero ghiacciato.
Mi accostai a lei. L’abbracciai per scaldarmi e le urlai in un orecchio:
     «Adesso te lo bevi!»
Sobbalzò. Pensavo mi mollasse una delle sue famose ginocchiate sui miei gioielli.
Invece si  mise a ridere
Mi rovesciò e si distese sopra di me. I nostri corpi ora erano a contatto. Sentivo il suo peso inconsistente e noto come l’aroma che volteggiava nell’aria.
     «Come sei gelato Tomiiii» esclamò. « Vuoi che  ti scaldi un pochino?»
Non attese risposta e iniziò a sbottonarmi il pigiama. Avvertii il calore della sua pelle velata dal babydoll  farsi strada.
Non riuscivo a parlare, mi aveva sorpreso. Come sempre.
     Cominciò a strusciarsi contro il mio petto, e a muovere ritmicamente il suo bacino dopo essersi incastrata tra le mie gambe muscolose. Io dal freddo passai al caldo, poi all’eccitato.
Le sue mani mi bloccavano le spalle. Le unghiette smaltate di nero si conficcavano leggermente nella pelle e grattavano.
     «Ora hai caldo, amore?» mi chiese premurosa.
     «Sì, molto in effetti…» risposi.
Stavo bollendo, tale e quale alla macchina che avevo lasciato in cucina.
Il caffè intanto spandeva il suo profumo per la stanza, e si raffreddava.
     «Prendiamo il nostro caffè, Tomi?» chiese, guardandomi maliziosa.
     «Se vuoi…» risposi con un filo di voce.
     «Veramente,vorrei altro ora…e tu?»
Non riuscivo a staccare gli occhi dai suoi.
Colse un lampo di desiderio e continuò.
Mi spogliò completamente. Faceva sempre quello che voleva. Otteneva tutto da me, e ora avrebbe avuto anche me.
    Le sue dita, tanto fragili e imbranate per fare un caffè, erano terribilmente forti e determinate quando si trattava di stringere il mio sesso e tormentarmi.
Mi portò quasi all’orgasmo.
   Amavo amarla.
   Amavo essere amato da lei.
   Amavo assecondare i suoi capricci.
   Era divina e perfida. Una donna eccitante.
Una giusta miscela di dolcezza e determinazione racchiusa in un babydoll. Pensai che assomigliava a una cialda del caffè. Graziosa, leggera. Indispensabile ai miei giorni.
Mi baciò.
Lingua su lingua.
Come goccia sulle labbra, scura. Granelli di zucchero rotolarono nel mio cervello.
Allargò  le sue gambe e con colpi violenti prese il suo piacere.
Vidi i begli occhi chiudersi e riaprirsi; le sue labbra aprirsi e chiudersi.
Sentii le sue dita forti prima accarezzare, poi graffiare i miei fianchi  e infine accompagnarmi all’orgasmo.
Sfinita, si accasciò su di me.
Il respiro accelerato dallo sforzo.
      «Amore…» mi ripeteva.
      «Amore…» le ripetevo.
Si staccò e, dopo avermi baciato e ribaciato il viso, mi porse il caffè gelato.
      «Ma Daniela, ormai fa schifo. È freddo» protestai.
      «Allora vai a rifarlo…Tomiiii.»
      «Tu sei pazza; non mi alzo più. Vai tu piuttosto, “miss manine delicate quando ti pare”.»
Scoppiò a ridere .
Non si mosse.
Capii che o lo bevevamo freddo, o dovevo rialzarmi io.
Lei mi guardò e leggendomi nel pensiero mi disse:
      «Dai Tomi, lo sai che sono io  la regina della casa, mi devi ubbidire…»
      «Veramente il capo di questa famiglia sarei io…»
      «Hai ragione amore, ma come dice un proverbio greco: tu sei il capo e io sono il collo
 Ecco mi stava fregando di nuovo.
      «Veramente tu sei una furbetta viziata, ma buon per te sei anche la regina del mio cuore.»
Mi rialzai. Stavolta misi le pantofole, e pure un maglione direttamente sul torace nudo.
Lei mi fissò. Sentii  i begli occhi puntati sui glutei mentre uscivo dalla stanza.
Rifeci i due caffè.
Li riportai in camera.
Li riappoggiai sul comodino e mi rinfilai nel letto.
Nonostante tutto ero nuovamente infreddolito.
      «Vuoi che ti scaldi di nuovo?» mi chiese Daniela col suo faccino impertinente, mettendomi due labbrucce  increspate sotto il mento. L’avrei morsa a sangue. Ma dai morsi sarei passato ai baci. E forse lei non aspettava altro. Adorava provocare. E io l’amavo per questo.
      «E no, stavolta no. Prima beviamo questi due maledetti caffè caldi» risposi sorridendo.
E finalmente Daniela  bevve il suo caffè bollente.

FINE




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