domenica 23 marzo 2014

Fuori catalogo, un passo doloroso

Spesso mi imbatto in discussioni sul fuori catalogo. Per gli autori la comunicazione che un loro libro vada fuori catalogo è come la messa a morte di un figlio. Da autrice comprendo e soffro, ma oggi voglio spiegarvi perché un editore è costretto, talvolta, a fare questo passo e non puntare più su un titolo. A parte la morte naturale per fine detenzione diritti (che non vengono rinnovati), le vendite tra editori di diritti ancora in essere che poi seguono logiche interne alle CE, o edizioni nuove dello stesso titolo, che in genere riguarda la grandi CE, la messa fuori catalogo dopo qualche anno di un titolo in cui un editore piccolo ha creduto (sborsando soldi per produrre i testi e diffonderli) dipende dalla legge fiscale italiana. I resi tornano in magazzino, ma il magazzino è considerato un possibile futuro guadagno, quindi un attivo (cioè un bel prodotto che hai e che guadagnerà il che in editoria dove si stampano più di 60000 titoli all'anno, e c'è un ricambio in libreria  ormai all'ordine di nemmeno un mese, a meno di un passaparola ritardato che porti ad un boom di vendite, che è quasi un miracolo) è pura follia. I libri  occupano spazio, non vendono più, ma sono considerati soldi veri. Allora volenti o nolenti tanti editori sono costretti ad ucciderli fisicamente, mandandoli al macero, per abbassare le tasse.
E' la dura verità.
Andrebbero cambiate le leggi che considerano gli editori dei produttori alla stregua di altri. E' vero che il libro è un prodotto, ma è anche vero che è un prodotto anomalo, un serbatoio di sogni e cultura; un amico, un figlio, un amante.Un percorso che costa fatica e tante ore di lavoro.  E se un romanzo è buono ha bisogno del suo tempo per emergere, non si può fare affidamento solo sul marketing, lanciare pochi autori di solito già famosi e mandare allo sbaraglio tutti gli altri. I piccoli autori devono poter avere almeno il tempo di farsi conoscere.I loro libri devono vivere. Ormai si pubblica troppo e male, si legge ancora peggio, vittime della pubblicità, le librerie hanno poco spazio, e stanno morendo le indipendenti a favore dei colossi, tutti scrivono e pochi leggono, e allora? Allora serve una collaborazione fisco,editori, librai e autori. Servono leggi nuove e non punitive per la piccola editoria e i bravi librai; insomma non so se mi sono fatta capire, magari la mia è utopia, ma l'editoria non è solo un'industria e talvolta assomiglia più all'artigianato. Si ragiona col cuore e non solo con i numeri, i libri non sono solo profitto, sono anche  sogni e speranze, hanno bisogno di cura, sono creati con tempo e fatica, non possono vivere venti giorni... non costringeteci unicamente alla stampa digitale o a demand...e poi a mandarli  al macero. Cari legislatori, la cultura e l'arte sono sedimenti di secoli, restituiteci il tempo.
(Federica Gnomo T.)

4 commenti:

  1. Grande Federica by Mew

    RispondiElimina
  2. Come hai ragione, amica cara... ma come.Ottimo articolo.

    RispondiElimina
  3. Se posso avanzare una precisazione, lo faccio. Dici che non dovrebbe esistere il macero per i libri, ovvero le scorte di magazzino non dovrebbero essere tassabili. Non sono d'accordo proprio dal punto di vista fiscale, i libri sono prima di tutto prodotti, poi tutte le altre belle cose. In fondo seguendo questo ragionamento qualsiasi prodotto non deperibile dovrebbe essere considerato alla stessa stregua.
    Perché dico questo? Per una contraddizione nel tuo stesso articolo: da una parte dici che il libro è un serbatoio di sogni e cultura, dall'altra dici che si pubblica tanto e male. Ecco, come spiegheresti al fisco che il libro brutto va considerato prodotto, e il libro bello sogno? Qui sta il problema. Se tutti i libri fossero prodotti dopo un attento vaglio, dopo una cura maniacale, e quindi avessero un minimo di qualità e interesse culturale, allora il tuo discorso sarebbe perfetto e il prodotto cultura diventerebbe cultura, sarebbe possibile un trattamento fiscale differenziato. Ma anche in quel caso c'è da fare un ragionamento: il prodotto per cui ho avuto i costi oggi è tassato al netto delle sue spese. Se io oggi non lo vendo vado in perdita. Se poi domani lo vendo e ci pago le tasse maggiorate, perché non ho costi da contrapporgli. Quindi in teoria (dal punto di vista fiscale) meglio pagare oggi le tasse, domani il costo sarà rappresentato dalla diminuzione della scorta per le vendite improvvise. Questo è il motivo per cui si tassa il magazzino. Per evitare andamenti altalenanti nei risultati contabili che, per quanto si parli di editori, sono sempre una malattia dell'attività produttiva.
    Io sono sempre stato dell'idea che un editore è prima di tutto un imprenditore, venditore di uno dei prodotti il cui successo è meno prevedibile. Nessun libro nasce "venduto", Saviano l'ha dimostrato con "Zero zero zero."

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Caro Luca, infatti io non sono contro il macero, spiego in termini rasoterra accessibili a tutti gli scrittori ( che ci soffrono) perché purtroppo si ha il macero programmato e poi il fuori catalogo (almeno dalla mia esperienza) Proprio il fatto che non sappiamo come andrà un libro e che è un prodotto ( il che non toglie che sia un prodotto anomalo) ce lo fa prima pubblicare( parlo da editore) e poi a fine vita tenere qualche mese o anno e poi avviare al macero graduale e infine al fuori catalogo come passo ultimo. Mi spiace non essere stata chiara per te.

      Elimina

Ti è piaciuto il post? Lascia un commento :)