venerdì 12 luglio 2013

Le letture di Bebolino: BENTESOI di LUCA FADDA, Edizioni Nulladie, 2013

Premetto, come al solito, che non sono un critico letterario, e  che non leggo molti gialli o noir.  Ultimamente, visto che gli amici ne scrivono, ho fatto qualche eccezione. Non terrò conto della stima che provo per ognuno, ma darò una sensazione onesta.


Mi sono avvicinata a questo testo pensando di trovarvi un po’ dell’arguzia dell’amico autore Luca Fadda, e anche un po’ di romanticismo per via della quarta di copertina. Invece mi si è svelato uno scrittore sconosciuto, una persona ansiosa di spiegare, molto diversa da come io lo conosco per indole.
In questo scritto Luca è un po’ troppo spesso pignolo nel descrivere  sensazioni, che sembrano stare lì solo per darci informazioni che alla fin fine non ci servono, o si ripetono, e spesso inconsapevolmente usano termini uguali in un genere letterario che ha dalla sua la velocità, lo stile asciutto, la serie dei fatti, anche se il poi vado a leggermi i classici della Agatha;  proprio lui che invece  è spesso arguto osservatore della realtà, con le sue  miserie e debolezze, sarcastico e cattivo, e che spesso tende  a scrivere nei post  frecciatine dal  lato tristemente comico. Insomma un'altra persona.  L’ho spesso associato a un napoletano grande,  De Filippo. Purtroppo non mi sono trovata davanti un’opera di narrativa, tragica e ironica, o surreale,  come la vedrei nelle sue corde, ma una storia gialla, a suo dire noir, seppure non propriamente  detta per la continua interferenza psicologica.  Una storia molto interiore che parte da una amicizia profonda e che sfocia in una grande efferatezza, come solo l’invidia  verso un amico di successo può spiegare. L'idea è buona, lo svolgimento un po' pesante.
 Poiché è anomala, la devo esaminare su diversi fronti. Primo l’intera esposizione. Un po’ troppo lunga fino quasi  metà, circa pag 140,  quando finalmente entriamo nel giallo. Avrei tagliato molte parti relative alla vita e al lavoro, eccessivamente descritte con troppa precisione, e concetti ripetuti o metafore anche ridondanti. Il giallo vero e proprio  scocca tardi la sua freccia, ma a quel punto il lettore potrebbe aver già mollato. Dopo la storia si trasforma in azione e non solo psicologia, quindi è più adatta a "tenere" il lettore.
Seconda osservazione:  è narrata  in terza, ma potrebbe essere in prima persona, tanto chi pensa, organizza e  “costruisce” è sempre Sergio. Gli altri personaggi sono come su uno sfondo teatrale, e solo Angelo  viene un po’ fuori, ma come un burattino.
Non voglio svelare l’intreccio, ma da subito si  intuisce il meccanismo e dove si vuole andare  a parare, anche con delle ingenuità, tipo quando  Sergio dice ad Angelo di toccare bene il manico del coltello o gli dà delle istruzioni circa dove nasconderlo, o prendere la borsa della vittima ecc. Insomma molte parti sono un po’ scontate, con azioni  dubbie,  anche per una non giallista come me che al massimo vede e ama il tenente Colombo. Unica nota  a favore,  il doppio finale.  Ti aspetti la soluzione del caso, e invece… altro omicidio e altro finale. Ma questa ingiustizia a  piede libero mi ha lasciato molto perplessa. Non amo il fallimento della giustizia. Insomma non c’è un vero ispettore ma quasi una macchietta, non un vero assassino colpevole, né una vera giustizia. Ma forse la trovata geniale è proprio questa, nell’essere tutto una diversa realtà. Peccato che io odi a morte l’ingiustizia e quindi Sergio mi risulti insopportabile come tutti gli invidiosi, inetti, egoisti, cattivi e pure fortunati.
Alla fine con tutto l'affetto che ho per Fadda, e la sincera convinzione che anche io scrivo solo per intrattenimento, senza pretese, lo consiglio però di avventurarsi in campi adatti alla sua ironia, fossero anche questi generi, ma certamente rivisitati.

Consigli tecnici non richiesti:
 consiglio, nel prossimo lavoro una prosa più asciutta, meno ridondante,  meglio venti  pagine in meno che due in più. Auspicherei un romanzo di narrativa sarcastica o al limite del surreale, che è l’aspetto che più vedo adatto all’autore. Deve stare meno attento alle descrizioni minuziose, e cercare di usare i dialoghi per far calare il lettore in una scena in cui si muovono i personaggi. Meglio lasciar intuire che spiegare in continuazione.

Il linguaggio semplice mi piace, non sono di quelli che aborrono la realtà colloquiale, anzi per me è moderno un dialogo autentico, e consono alla storia e ai personaggi,  ma  farei attenzione alle ripetizioni, e soprattutto a non ribadire i concetti più di una volta nella stessa pagina o periodo. 

3 commenti:

  1. Grazie Gnoma, ottimo lavoro critico il tuo. Utilissimo.

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  2. Brava Federica! Non conosco ancora la scrittura di Luca ma credo che tu abbia colto nel segno: quelle che tu evidenzi sono le lacune "tipiche" di chi scrive "per sé", di chi elabora una storia mentre la scrive, con l'occhio più attento alla frase d'effetto che alla costruzione di un personaggio/protagonista autonomo, indipendente, credibile e non semplice riflesso/emanazione dell'io narrante. Difetti da "esordiente" mi verrebbe da dire ma meglio sarebbe scrivere "ingenuità" di chi non si è mai seriamente confrontato con un lettore critico ed esigente, dai suggerimenti utili e preziosi per l'Autore. Complimenti! Renato Bruno www.matitarossa.com

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