lunedì 17 giugno 2013

IN CUCINA CON LO SCRITTORE Paola Ferrero, Parole d’amore insano, Liberodiscrivere 2009

Interviste culinarie a scrittori,  di Federica Gnomo Twins


Oggi salutiamo e ringraziamo l‘autrice Paola Ferrero, che ha pubblicato la raccolta di poesie Parole d’amore insano con l’editore genovese Liberodiscrivere nel 2009, per averci aperto la porta della sua cucina.
        Parole d’amore insano è una raccolta di poesie scritte a partire dalla fine degli anni ’80. Sono poesie particolari in cui l’amore è vissuto in diverse forme, ma sempre in modo totale e aperto anche alle peggiori ferite. C’è l’amore per la vita, per la danza, per un amato o per un amico perduto per sempre. Dall’immagine di un tramonto alla visione di una realtà cruda, dal trasporto amoroso alla rabbia più distruttiva, dai sensi alle sole immagini. Dalla preghiera all’ironia. Parti del mio mondo e del mio amare. L’amore insano è una sorta di viaggio interiore che resta impresso nell’anima.
http://www.liberodiscrivere.it/biblio/scheda.asp?IDOpere=134357


La prima domanda di rito è: le piace mangiare bene? E cucinare?
Ho iniziato a cucinare prima ancora di capire se mi piaceva mangiare bene, complici il “Manuale di Nonna Papera” e una nonna in carne e ossa fissata con la cucina. Preparavo il pranzo a mia mamma, single lavoratrice, più o meno a dieci anni. Nei miei limiti, ovvio. A mangiare bene ho imparato più avanti, come ad apprezzare i vini. Non è stata una cosa automatica. Ci vuole lavoro anche per imparare ad apprezzare le cose più semplici, quelle che dovrebbero essere naturali.
 Lo fa per dovere o per piacere?
Mi piace molto cucinare quando ho ospiti, un po’ meno nella quotidianità. La routine è deleteria per me in ogni campo; pur essendo abitudinaria ho bisogno di stimoli per “creare” al meglio.
 Invita amici o è più spesso invitato?
Entrambe le cose. Prima di sposarmi avevo gente a cena quasi ogni sera, amici di mia madre per lo più. Si cenava tardi e con quello che c’era, senza grosse formalità. Le cene migliori mi vengono fuori così. Mischio ingredienti senza guardare i ricettari, invento sul momento e ripetendo in seguito miglioro, ma sono tendenzialmente istintiva. Ora tendo a programmare il menu, anche a seconda di chi viene a cena – mi preoccupo sempre di sapere se ci sono cibi sgraditi o se qualche ospite è allergico ad alimenti particolari – vini compresi.
 Ha mai conquistato amici o un uomo cucinando?
Sì, mio marito, per esempio. Con una serie di risotti sempre diversi ogni sera.
Vivrebbe con un compagno che non sa mettere mani ai fornelli?
Non sarebbe un problema. Però è piacevole avere qualcuno che non solo apprezza il tuo modo di cucinare, ma con cui condividere i sapori e il lavoro ai fornelli. Preparare una cena assieme è un modo per condividere qualcosa in più, di quotidiano ma di profondo. Il cibo è fondamentale, il buon cibo lo è di più.

Quando ha scoperto questa sua passione?
Con la nonna paterna, a cui piaceva molto soprattutto l’aspetto mondano del “ricevere” ma che cucinava sempre dall’antipasto al dolce personalmente. Quando ero con lei facevo da assistente, aiutavo a impastare la frolla, a mescolare la besciamella, a passare la pasta all’uovo nella macchina per le tagliatelle a manovella. Il tutto assaggiando ogni cosa, cotta o cruda, sentendo le piccole variazioni a ogni aggiunta di ingredienti. Cucinare è davvero un’esperienza sensoriale che potrei definire erotica, coinvolge la mente in modo inaspettato.

Ci racconta il suo primo ricordo legato al cibo?
I tentativi della nonna materna di farmi mangiare. Sono sempre stata una bambina difficile. Volevo solo patatine, pollo impanato e cioccolata. O la pasta al pesto. Mia nonna era costretta a inventarsi di tutto per farmi mangiare anche solo la marmellata. Per merenda mi portava fette di pan carré tagliate a forma dei semi delle carte, i rossi avevano la marmellata di fragole e i neri la Nutella. Così mangiavo sia una cosa che l’altra. Se mi avesse portato una semplice fetta biscottata con la marmellata non avrei toccato la merenda.

Ha un piatto che ama e uno che detesta?
Continuo a essere una bambina difficile, ma ho ristretto i campi. Non mangio, nemmeno sotto tortura, le interiora o l’aragosta (ma anche il granchio, e se non sono costretta per motivi di educazione anche coniglio, agnello, cavallo e pesce che non sia più che pulito e cotto). Il fegato sopra tutto il resto, mi dà fastidio anche l’odore.
Amo la pasta, gli agnolotti soprattutto. Mai con il sugo di pomodoro, però. E la pizza. Il cioccolato è quasi una droga.

Un colore dominante proprio di cibi che la disgustano?
Non è questione di colore. Il disgusto per me nasce più dalla consistenza, che deve essere omogenea. Ma se devo dire un colore … verde. Ancora fatico con le verdure, come quando ero piccola.

Quando è in fase creativa ha un rito scaramantico legato al cibo? Prende caffè? O tè, una bibita speciale per stare fermo a scrivere?
Non sono superstiziosa e non amo i riti, fatta eccezione per i brindisi. Quando scrivo, che siano poesie o altro, tendo a non bere e non mangiare se non obbligata. Preferisco comunque il caffè, come pausa più che altro. Per il resto sono talmente incollata alla tastiera che dimentico il mondo e le sue regole.
Scrive mai in cucina?
Per quanto ami la cucina ci vado per cucinare o per mangiare, altrimenti non ne sento il bisogno.
Altrimenti dove ama scrivere? e a che ora le viene più naturale?
Di solito scrivo sul divano o alla scrivania. Nel caso delle poesie capita che io scriva ovunque, per strada, al lavoro, a letto nel cuore della notte, da amici … ovunque. Su qualsiasi supporto, anche fazzoletti di carta se non c’è altro.
Ma se devo scrivere altro e voglio un posto sicuro c’è il mio divano, col portatile, di notte. Davanti a una finestra che dà sui tetti della città illuminata. Non riesco a scrivere al mattino o dopo pranzo. Con la luce del giorno le mie parole perdono forza, a quel punto meglio dipingere.

 Si compra cibo pronto ( tramezzini, pizza, snack) o si cucina anche quando è molto preso dalla scrittura?
Adoro pizza e kebab, ma mangio prima di scrivere o subito dopo aver scritto. Altrimenti quasi non sento il gusto. Ingurgito e basta. C’è da dire che avendo accanto qualcuno che invece si ricorda eccome di mangiare, il fatto di poter evitare di cucinare si riduce a poche volte all’anno.
Che tipo di cibo desidera di più quando scrive ed è preso dal suo lavoro? Salato o dolce?
Dipende dai momenti. A volte anche le due cose insieme. Adoro la focaccia bianca salata spalmata di Nutella. Come per il caffè, può essere una pausa piacevole tra un capitolo e l’altro.

Ha un aneddoto legato al cibo da raccontarci? O una cosa carina e particolare che le è accaduta?
Durante il primo viaggio in India, con mia madre. Avevo dieci anni e mangiare è stato un vero problema. Verso la metà del viaggio ci siamo fermati in una casetta di caccia, dove era previsto un pernottamento con la possibilità di vedere le tigri nella foresta circostante. Avevamo con noi dei pacchetti preparati dall’albergo con la cena, pacchetti lasciati nella camera mentre ci godevamo il giro nei dintorni della casa. Una volta tornate, con guida e autista, ci siamo sedute per mangiare e abbiamo trovato  tutto il cibo completamente ricoperto da formiche. Di sicuro è stata una delle cene più laboriose della mia vita, passata a togliere le formiche dal pollo prima di poterlo addentare. Ora la cucina indiana è tra le mie preferite, formiche o meno. Ma di tigri nemmeno l’ombra.

Lei è una scrittrice di poesie, ma anche di prosa, quando esce a cena con amici  che tipo di locale preferisce? E quando esce con suo marito?
Quando usciamo con amici cerchiamo soprattutto un locale accogliente, con una cucina non troppo ricercata ma buona, con una carta dei vini interessante e con la possibilità di fermarci a parlare con proprietari, camerieri, cuochi etc. Ho diversi amici ristoratori e ogni volta andare a cena è quasi un ritrovare parte della famiglia.
Se siamo soli, mio marito e io, scegliamo ristoranti o rosticcerie etniche. Indiano e greco soprattutto. Niente sushi, poco cinese.
Oppure per festeggiare una pubblicazione?  Cosa tende a ordinare in un locale?
Come per la cucina, io ordino in modo istintivo. Non c’è una tipologia di piatto che preferisco, anche se in un certo posto che frequento da più di quindici anni fanno un flan di cioccolata che mi fa impazzire. Ecco, se devo festeggiare, che ci sia cioccolata e magari prosecco.

Nelle sue presentazioni offre un buffet? Pensa sia gradevole per gli ascoltatori intervenuti?
Tende a fare un aperitivo con due olive e patatine o a offrire quasi un pasto completo?
Mi piace coccolare le persone che assistono alle presentazioni, mi piace anche più della presentazione stessa. Offrire un aperitivo con un piccolo buffet, o una bicchierata con pizze e focacce mi sembra il minimo. Poi può darsi che in futuro mi venga in mente di “allargarmi” e offrire qualcosa di più. Dipende anche dalla libreria che ospita l’evento e dall’orario. Però, sì, un brindisi è il minimo.

Ha mai usato il cibo in qualche storia?
Ho un piatto ricorrente in un romanzo non ancora pubblicato. Una cosa semplice: pizza Napoli e birra media chiara. Poco, ma efficace per inquadrare il personaggio che non ordina altro in tutto il romanzo. Salvo poi cucinare delle foglie di salvia fritte, che io adoro.
Ad esempio in  “Parole d’amore insano” ci sono passi che ricordano cibi o profumi di cibo?
In qualche poesia, sì. Più che altro la sensazione della fame e le immagini che richiama.
Il cibo è mai protagonista?
Il cibo no. Non nelle poesie e non ancora nei romanzi, ma non si può mai dire. Io amo raccontare di persone, quindi se mi capitasse un personaggio legato al cibo non esiterei un attimo. Non che il sapore non sia compreso, ma il sapore non sempre è legato al cibo.
“Parole d’amore insano” a che ricetta lo legherebbe, e perché?
La prima cosa che mi è venuta in mente sono le fragole. Rosse, succose e invitanti. Da mangiare con le mani, come l’amore, senza troppi fronzoli. Magari lasciando un po’ di rosso sulle dita.

Per concludere ci potrebbe regalare una sua ricetta? Quella che le riesce meglio?
Uno dei miei esperimenti riusciti, a cui ha dato il nome una amica, il Pollo Sabbioso. Un secondo speziato ma semplicissimo e molto fresco.
POLLO SABBIOSO
Per due persone:
300 gr di petto di pollo a pezzetti da 2-3 cm
Semi di cumino, un paio di cucchiaini
Curry, zenzero, coriandolo, paprika, pepe nero, aglio liofilizzato
Olio d’oliva e dado vegetale in polvere.
Farina integrale per l’impanatura.
Procedimento:
In una padella far soffriggere nell’olio i semi di cumino con un po’ di zenzero in polvere e l’aglio liofilizzato. Nel frattempo passare i pezzi di pollo nella farina integrale ricoprendoli il più possibile. Quando l’olio è caldo, buttare il pollo e farlo dorare su tutti i lati. Non appena i pezzi sono dorati, insaporire con una spolverata delle altre spezie, circa un mezzo cucchiaino ciascuna e con il dado vegetale e il pepe a piacimento. Girare spesso e lasciare che i pezzi di pollo diventino croccanti e si ricoprano di semi di cumino tostati. Servire caldo.

Quale complimento le piace di più come cuoco?
Ho sempre dei problemi con i complimenti, quindi preferisco che i miei ospiti mi svuotino tutti i piatti di portata tra una chiacchiera e l’altra piuttosto che sentirmi dire che era tutto buono. Con gli amici è facile che accada. Niente complimenti, ma magari poi si tengono quel che resta della torta per fare colazione il mattino dopo …
E come scrittore?
Mi piace sapere di aver emozionato chi mi ha letta. Non amo chi si lancia in critiche letterarie, per me conta lasciare qualcosa di mio nel lettore e lo posso fare solo con le emozioni. Non sono parole ricercate o la grammatica corretta – importantissima finché scrivo, ma deve essere invisibile dopo – che fanno un buon lavoro. Un buon lavoro resta, nel bene e nel male. A me importa restare.

Che frase tratta dalla sua opera o dalla sua esperienza di scrittore possiamo portarci nel cuore uscendo dalla sua cucina?
“La bellezza è nuda, l’amore è nelle piccole cose.” La semplicità non sempre è apprezzata, cerchiamo sempre troppo lontano le cose che abbiamo a portata di mano (qui la rima è involontaria, giuro).

Grazie per la sua disponibilità                                                                           







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